domenica 16 gennaio 2022

Una fiaba sámi: "Il matrimonio dello stállu"

 


Fiaba raccolta a Ofoten.

Titolo originale: Stalo-Hochzeit

Traduzione del tedesco di Elisa Zanchetta

 

Un giorno uno stállu giunse nel luogo in cui un sámi aveva allestito la propria kota. Il sámi aveva una figlia e quando stállu la vide le piacque così tanto che le chiese se voleva divenire sua nuora: aveva un figlio oramai grande che voleva sposarsi.

La fanciulla rispose di no, tuttavia il padre non poté dire «no»: dovette promettere che la figlia sarebbe divenuta nuora dello stállu. Al ché si accordarono sulla data in cui il matrimonio avrebbe avuto luogo e stállu tornò sui suoi passi.

Quando giunse il giorno pattuito, il sámi fece comunicare allo stállu, che abitava a un giorno di viaggio da lì dietro un monte, che poteva raggiungerli con moglie e figlio per celebrare il matrimonio. Il sámi aveva mandato entrambi i figli con le renne a prendere la famiglia dello stállu e li aveva incaricati di prendere la via a nord del monte o del “versante a notte”, ma di dire allo stállu, qualora avesse loro chiesto per quale strada erano venuti, di essere giunti dal “versante a giorno”.

Quella stessa notte lo stállu sognò che qualora coloro che sarebbero venuti a prenderli per il matrimonio fossero giunti dal “versante a notte” del monte, sarebbe stato di cattivo auspicio. Perciò quando i figli del sámi risposero «Dal “versante a giorno”!» alla domanda posta dallo stállu, quest’ultimo ne fu molto felice e li accolse nel modo più amichevole. Dopodiché lui, la propria Nanna [moglie] e il figlio che si doveva ora sposare si prepararono per seguire i sámi. Presero con sé anche dei cibi per il banchetto nuziale e l’intera comitiva si avviò lungo la via che passava per il “versante a giorno” del monte.

Nel frattempo il sámi con i suoi uomini avevano scavato un foro sulla superficie ghiacciata del lago proprio in prossimità della propria kota, ricoprendo con cura la buca con la neve. Avevano anche preparato dei randelli di legno anch’essi posti attorno alla buca e nascosti sotto la neve.

Ecco ora arrivare lo stállu con moglie e figlio, guidati da entrambi i figli del sámi e il matrimonio ebbe inizio. Furono macellate due renne e messi due paioli sul fuoco. Dopo che la carne si fu cotta per un tempo sufficiente, il figlio maggiore del sámi tolse il paiolo dal fuoco, lo portò nel boasso, si sedette e se lo mise sulle ginocchia.

Quando stállu vide questa mossa del figlio del sámi volle che anche il proprio figlio mostrasse di essere altrettanto resistente, pertanto gli disse:

«Ora prendi tu l’altro paiolo dal fuoco, siediti e mettitelo accanto come ha fatto il giovanotto sámi!».

Tuttavia il figlio dello stállu non era abituato a queste cose come il figlio del sámi. Dopo che ebbe tolto il paiolo dal fuoco e fu andato a sedersi nel boasso, si versò addosso un po’ di acqua bollente che si mise a scorrere sul petto e lo stomaco, eccetto il basso ventre. Stállu che vide ciò, disse:

«Ti sei bruciato, ragazzo mio?».

«Ah, non è nulla di ché!», rispose il figlio.

Dopodiché iniziarono a mangiare, ma il figlio dello stállu non era in grado di mangiare nulla. Si era ustionato più gravemente di quanto si potesse immaginare. Lasciò la compagnia, si recò nella dispensa del sámi, si sdraiò e gemette di dolore. La moglie lo seguì e si sedette al suo fianco.

Poiché non faceva ritorno, stállu iniziò ad irritarsi e disse:

«Forse il giovanotto si è procurato una bella scottatura!».

Al ché si recò lui stesso nella dispensa per sentire come stava il figlio.

«Allora, come va con questo giovanotto?», chiese alla fanciulla sámi che sedeva alla porta lasciata aperta.

«Ora dorme!», ella rispose.


John Bauer, Herr Birre och Trollen (1909). Wikimedia Commons


Il padre della ragazza, anch’egli giunto, notò che il giovanotto era spirato, ma stállu non ne aveva il benché minimo sospetto. Dopo che ebbero mangiato e bevuto, chiesero a stállu se aveva voglia di uscire con loro sul ghiaccio per intrattenersi con svariati giochi comuni presso i sámi. Stállu non aveva nulla in contrario.

Dopo un po’ fecero giocare stállu al gioco che i sámi chiamano stalostallat, cioè moscacieca: a uno della compagnia veniva tirato giù il copricapo sámi fino a coprire le orecchie in modo che non riuscisse a vedere nulla; dopodiché gli si ruotava attorno e gli si pizzicavano i vestiti mentre lui, a sua volta, tentava di afferrare le persone come meglio poteva. Ecco che giunse anche il turno di stállu di fare la mosca cieca. Dopo che ebbe acchiappato il primo, gli accarezzò il volto dicendogli:

«Simme-sammas[1], domani mattina sarai la mia colazione!».

Poi ne acciuffò un secondo:

«Simme-sammas, domani sarai il mio pranzo!».

Riuscì a prenderne anche un terzo.

«Simme-sammas,» disse nuovamente stállu, «ora ne ho anche uno per cena!»

Dopodiché gli corsero nuovamente intorno, ridendo e divertendosi. Stállu li raggiunse con un balzo, finendo dritto nel foro praticano sul ghiaccio. In quel medesimo istante i sámi fecero vibrare anche il randello, picchiando la testa dello stállu più forte che potevano. Stállu gridò e chiamò a gran voce la sua nanna” che accorresse in suo aiuto.

Ma mentre queste accadeva sul ghiaccio, le donne dei sámi sedevano nella kota e tenevano impegnata la moglie dello stállu in un’altra maniera. L’avevano fatta appoggiare la testa sul grambo di una delle mogli dei sámi e mentre questa le cercava i pidocchi, le altre le avevano sciolto le lunghe trecce, legando le ciocche di capelli ai pali della kota. Si comportavano come se ammirassero molto tutti gli oggetti che la moglie dello stállu aveva appesi alla cintola, tra cui trovarono anche il suo ruovdebocce, ovvero il tubo in ferro di cui si serviva per succhiare la vita e il sangue delle persone. Lo sciolsero in segreto dalla cintola e lo infilarono nel fuoco, così che divenne bollente.

Improvvisamente la moglie dello stállu udì la voce del marito da sotto il ghiaccio e chiese alle mogli dei sámi:

«Hissogos dobbe læ vai hasso? – Cos’è, divertimento o rissa?».

«Hisso! Ovvio che è divertimento!», risposero le mogli dei sámi.

Dopodiché appoggiò nuovamente il capo in grembo alla moglie del sámi e si lasciò spulciare. Ma improvvisamente udì chiaramente che stállu la chiamava:

«Nanna, Nanna, buvte ruovdebocce! - Mia cara, mia cara, accorri con il tubo in ferro!».

Ora non poteva più avere alcun dubbio: stállu era in pericolo di vita. Indignata, balzò in piedi e, presa dalla paura, non si accorse neppure di essersi strappata le ciocche di capelli che erano state fissate ai pali della kota. Fece un chiasso infernale e cercò ovunque il suo tubo in ferro che stava tra gli altri oggetti che dovevano essere appesi alla sua cintola. Era scomparso.

«Dov’è il mio tubo in ferro? Chi mi ha preso il tubo in ferro?», chiese alle donne.

Esse indicarono il focolare e le dissero:

«È lì, nel fuoco!».

La vecchia si precipitò sul fuoco, prese il tubo in ferro divenuto incandescente e se lo mise in bocca, ma invece di aspirare sangue umano, aspirò cenere, fuoco e brace, così che le sue interiora bruciarono e rovinò al suolo morta. Allo stesso tempo gli uomini avevano fracassato la testa dello stállu che stava sotto il ghiaccio. E così finì questo matrimonio.



[1] Espressione sámi di buon auspiscio.

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