domenica 16 gennaio 2022

Mitologia e folklore sámi: Saiwo o Passe-Ware, il monte sacro

 

Pressi i sámi di Norvegia era diffusa la credenza secondo cui nei loro monti, chiamati Saiwo oppure Passe-Warek (“monti sacri”), abitassero coloro che durante la vita avevano sacrificato con solerzia a tali monti. In ognuno di questi monti credevano dimorasse un angelo celeste oppure un dio sotterraneo che garantiva agli uomini aiuto e protezione.

Quando le persone morivano, le loro anime andavano nel Saiwo o monte sacro, il cui signore o proprietario, ugualmente chiamato Saiwo, era stato il loro angelo custode o spirito protettore mentre erano in vita. La credenza che i morti dimorassero nei monti sacri è testimoniata anche dal fatto che i noaiddit (gli sciamani sámi), intenzionati a recuperare l’anima di un malato dall’aldilà, dovevano recarsi nei Saiwo e dai loro abitanti chiamati Saiwo-Olmak (“uomini del Saiwo”) oppure Passeware-Olmai (“uomini del Passeware”).

La credenza che la vita continuasse dopo la morte all’interno di determinati monti, era un cardine della religione dei sámi. La concezione di un regno dei morti mitico chiamato Jabmi-aimo, governato da Jabmiakka (la signora del Jabmi-aimo), sembra essere solamente un’astrazione più recente, creata a partire dalla fusione dei numerosi regni dei morti concreti, ovvero dei Saiwo.

Gli abitanti del regno dei morti vivevano e svolgevano le medesime attività dei morti che dimoravano nel Saiwo, perciò si potrebbe affermare che Jabmi-aimo e Saiwo siano identici. L’unica differenza consiste nel fatto che Jabmi-aimo era il generico aldilà in cui venivano accolti i defunti in attesa di essere ammessi al Radien-aimo (regno del dio supremo Radien), mentre quando ci si riferiva a un defunto in particolare, si doveva menzionare uno specifico luogo geografico, un determinato monte sacro, o Saiwo, in cui era possibile incontrarlo.

Il timore reverenziale dei sámi nei confronti dei monti sacri è dimostrato da molte testimonianze etnografiche:

- si recavano in questi luoghi con abiti da festa;

- non volevano abitare nei pressi del Saiwo o Passe-Ware, altrimenti le urla dei bambini o altri rumori avrebbero disturbato la divinità che vi risiedeva;

- quando, durante un viaggio, si trovavano a passare davanti a un monte sacro, non volevano assopirsi, perché sarebbe stato un segno di scarsa considerazione nei confronti della divinità;

- nei pressi del monte sacro gli uomini non dovevano parlare a voce alta, non uccidevano uccelli oppure animali quadrupedi e non producevano alcun rumore;

- se erano vestiti di blu, dovevano togliersi questo capo di vestiario fino a quando avevano oltrepassato il Saiwo;

- alle donne non era concesso gettare lo sguardo sul monte sacro, avrebbero potuto farlo solamente coprendosi il volto; non si poteva in ogni caso avvicinare se aveva le mestruazioni.


Johannes Schefferus, Lapponia (1673). Wikimedia Commons.


Gli abitanti del Saiwo erano "olmak", ovvero uomini, tre, quattro o cinque in ogni monte, inoltre c’erano Saiwo-Nieida, ovvero donne, e bambini. In alcuni dimoravano famiglie intere, oppure olmak non sposati.

Gli abitanti dei diversi monti Saiwo si distinguevano per il diverso colore dei loro vestiti. La loro vita e le loro attività erano come quelle dei vivi; di ciò i parenti ne erano convinti perché potevano accedere a tali monti: raccontavano di aver bevuto, ballato, intonato canti magici con i Saiwo-olmak e interrogato oracoli, nonché di aver visto i propri congiunti. Chi vi accedeva si era sentito chiamare per nome, si era intrattenuto presso di loro per intere settimane, fumando tabacco e consumando bevande alcoliche; avevano ricevuto da loro consigli, ammonimenti, previsioni e insegnamenti per cui erano molti grati.

Anche i Saiwo-olmak potevano uscire dai monti sacri per recarsi dai congiunti: accompagnavano a casa i loro visitatori, avevano rapporti con loro, non solo nei monti, ma anche nelle loro abitazioni, dove si recavano a trovarli.

Attraverso scongiuri e sacrifici i vivi riuscivano a riportare sulla terra dei vivi un membro della propria famiglia, il padre oppure la madre, che sovente rimaneva presso di loro da uno a quattro anni, se non di più, come guardiano delle renne.

Su volontà dei loro abitanti, i monti Saiwo venivano venerati con determinati doni sacrificali che consistevano in tabacco, burro o grasso. Spesso si trovava sul Saiwo una pietra con particolari sembianze umane che dava il nome al luogo e sulla quale venivano eseguiti i sacrifici. Questa pietra poteva essere cosparsa anche di sangue e usata per fare profezie, perciò talvolta era detta anche Sieide.

Le fonti relative ai sámi di Svezia non sono così dettagliate come quelle dei sámi di Norvegia, ma possiamo evincere che le concezioni e le usanze connesse alla venerazione dei defunti fossero molto simili. I sámi di Svezia credevano che l’anima continuasse a vivere, in particolare perché attraverso la loro arte magica avevano riconosciuto le anime dei loro defunti nell’aldilà. I morti si univano al popolo che dimorava sotto terra: alla stregua dei sámi di Norvegia, quando una persona era mortalmente malata, il noaiddi (lo sciamano sámi) doveva mettersi in viaggio per giungere presso un popolo sotterraneo che camminava con i piedi appoggiati a quelli dei viventi ed era di aspetto amorevole. Si incontra anche qui un popolo di morti che viene visitato dai viventi e dal quale deve essere strappata l’anima del malato, come nella concezione norvegese del Saiwo. I racconti popolari, anche per i sámi di Svezia, narravano di mortali che erano stati accolti dagli abitanti del sottosuolo all’interno dei loro monti: anche presso i sámi di Svezia si incontra la venerazione del monte sacro, chiamato Passe-Ware.


Bibliografia

Wolf von Unwerth, Untersuchungen über Totenkult und Ódinnverehrung bei Nordgermanen und Lappen mit Exkursen zur altnordischen Literaturgeschichte, Breslau 1911.


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