domenica 16 gennaio 2022

Mitologia e folklore sámi: traduzione della fiaba popolare "Il pesce Saiwo"

 IL PESCE SAIWO [1]

Fiaba raccolta nel Lappmark svedese

 

Un giorno due sámi si recarono in un lago di montagna per pescare con una grande rete. Uno era anziano e credeva nell’esistenza dei saiwo-olmak [2], gli uomini di Saiwo”, il popolo sotterraneo, come pure nel loro prodigioso potere di far sparire per incanto i pesci dalle acque del Saiwo; l’altro era giovane e non credeva a nulla, bensì prendeva in giro la superstizione pagana del vecchio.

Un giorno accadde che entrambi pescarono pochissimo pesce nelle acque che non erano quelle sacre del Saiwo. L’anziano disse che lui era probabilmente a conoscenza di uno specchio d’acqua che pullulava di pesci, ma allo stesso tempo credeva che non ne sarebbe valsa la pena recarsi fin lì, stante che il suo compagno non avrebbe saputo tenere la bocca chiusa.[3]

«Andiamo,» disse questi, «e quando vi saremo giunti, me ne starò così tranquillo che nessuno sentirà il benché minimo rumore provenire da me.»


Akseli Gallén-Kallela, Luistelijat Ruovedellä ("Pattinatori sul lago Ruovesi") (1896). Wikimedia Commons.

L’anziano si lasciò persuadere e così si recarono alle acque del Saiwo e gettarono la rete. Cominciarono a tirarla e ancora prima che la rete giungesse a riva, si sentiva chiaramente che era piena di pesci. La rete stava proprio per toccare la sponda quando il giovane ruppe intenzionalmente la promessa di starsene in silenzio e proferì una parola: i pesci scomparvero e quando la rete fu tirata a riva non vi trovarono neppure una piccola coda.

«E va beh,» disse l’anziano irritato, «lo sapevo che non avresti tenuto la bocca chiusa!», e voleva andarsene via immediatamente. Ma l’altro, che voleva fare un altro tentativo per vedere se la superstizione del vecchio era fondata, lo persuase a gettare nuovamente la rete, giurando di rimanere in silenzio assoluto.

Questa volta mantenne fede alla promessa fino a quando iniziarono a sollevare la rete; credeva che oramai i pesci intrappolati nella rete non potessero più scomparire, perciò si lasciò scappare una parola: la rete giunse vuota a riva.

L’anziano credette allora che fosse del tutto inutile continuare a pescare nelle acque del Saiwo con un compagno che non riusciva a trattenersi dal chiacchierare. Ma le preghiere insistenti e la solenne dichiarazione di mantenere il silenzio convinsero l’anziano a fare un terzo tentativo. Questa volta il giovane non proferì alcuna parola fino a quando la rete non fu completamente tirata sulla sponda: era piena di pesci grandi e grassi e da quel momento in poi anche il giovane dovette ammettere che i pesci nelle acque del Saiwo non sopportano minimamente le chiacchiere.


Akseli Gallén-Kallela, Keitele järvi ("Lago Keitele") (1905). Wikimedia Commons.





 NOTE:

[1] Saiwo-gwelle (pesce di Saiwo”), secondo la Mitologia finnica di Christfrid Ganander è un pesce dei monti che protegge la vita dello sciamano quando intraprende il viaggio verso Jabmiaimo per riportare sulla terra l’anima di un ammalato oppure un parente defunto, affinché possa fungere da spirito guardiano delle renne per alcuni anni (Taglianetti ~ Ganassini 2019, s.v. “Saiwo-gwelle”, p. 173).

[2] Sing. saiwo-olmai, essi vengono descritti in Ganander come divinità dei monti al servizio degli sciamani o di coloro che, esperti nelle arti magiche, li assoldavano per scagliarli contro altri sciamani. Essi fornivano i loro consigli in sogno, o in altri modi, per risolvere difficili questioni (Taglianetti ~ Ganassini 2019, s.v. “Saiwo-olmai”, p. 173).

[3] Il timore reverenziale che i sámi nutrivano nei confronti dei luoghi Saiwo, e in particolare dei monti sacri, detti Saiwo oppure Passe-Warek, è testimoniato dai numerosi divieti da osservare: i sámi si recavano in questi luoghi con abiti da festa; si rifiutavano di dimorare nei pressi del Saiwo altrimenti le urla dei bambini o altri rumori avrebbero disturbato la divinità che vi risiedeva; quando, in viaggio, passavano davanti a un monte sacro, non volevano dormire, perché sarebbe stato un segno di scarsa considerazione nei confronti della divinità; nei pressi del monte sacro non parlavano a voce alta, non cacciavano uccelli o qualsivoglia quadrupede e non producevano alcun rumore; se erano vestiti di blu, dovevano togliersi questo capo di vestiario fino a quando avevano oltrepassato il Saiwo; alle donne non era concesso gettare lo sguardo sul monte sacro, altrimenti avrebbero potuto farlo solamente coprendosi il volto, ma non si poteva in ogni caso avvicinare se aveva le mestruazioni (von Unwerth 1911, p. 8).

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Poestion 1886. J. C. Poestion, Lappländische Märchen, Volkssagen, Räthsel und Sprichwörter. Nach lappländischen, norwegischen und schwedischen Quellen, Druck und Verlag von Carl Berold’s Sohn, Wien.

Taglianetti ~ Ganassini 2019. Christfrid Ganander, Mitologia finnica, a cura di Luca Taglianetti, Marcello Ganassini, Vocifuoriscena, Viterbo 2019 (1a ed. 2018).

Von Unwerth 1911. Wolf von Unwerth, Untersuchungen über Totenkult und Ódinnverehrung bei Nordgermanen und Lappen mit exkursen zur altnordischen Literaturgeschichte, Verlag von M. & H. Marcus, Breslau.





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