IL PESCE SAIWO [1]
Fiaba
raccolta nel Lappmark svedese
Un
giorno due sámi si recarono in un lago di montagna per pescare con
una grande rete. Uno era anziano e credeva nell’esistenza dei saiwo-olmak
[2], gli “uomini di Saiwo”, il popolo sotterraneo, come pure nel loro prodigioso
potere di far sparire per incanto i pesci dalle acque del Saiwo; l’altro era
giovane e non credeva a nulla, bensì prendeva in giro la superstizione pagana
del vecchio.
Un giorno accadde che entrambi pescarono pochissimo pesce
nelle acque che non erano quelle sacre del Saiwo. L’anziano disse che lui era
probabilmente a conoscenza di uno specchio d’acqua che pullulava di pesci, ma
allo stesso tempo credeva che non ne sarebbe valsa la pena recarsi fin lì,
stante che il suo compagno non avrebbe saputo tenere la bocca chiusa.[3]
«Andiamo,» disse questi, «e quando vi saremo giunti, me
ne starò così tranquillo che nessuno sentirà il benché minimo rumore provenire
da me.»
Akseli Gallén-Kallela, Luistelijat Ruovedellä ("Pattinatori sul lago Ruovesi") (1896). Wikimedia Commons. |
L’anziano si lasciò persuadere e così si recarono alle
acque del Saiwo e gettarono la rete. Cominciarono a tirarla e ancora prima che
la rete giungesse a riva, si sentiva chiaramente che era piena di pesci. La
rete stava proprio per toccare la sponda quando il giovane ruppe
intenzionalmente la promessa di starsene in silenzio e proferì una parola: i
pesci scomparvero e quando la rete fu tirata a riva non vi trovarono neppure una
piccola coda.
«E va beh,» disse l’anziano irritato, «lo sapevo che non
avresti tenuto la bocca chiusa!», e voleva andarsene via immediatamente. Ma
l’altro, che voleva fare un altro tentativo per vedere se la superstizione del
vecchio era fondata, lo persuase a gettare nuovamente la rete, giurando di
rimanere in silenzio assoluto.
Questa volta mantenne fede alla promessa fino a quando
iniziarono a sollevare la rete; credeva che oramai i pesci intrappolati nella
rete non potessero più scomparire, perciò si lasciò scappare una parola: la
rete giunse vuota a riva.
L’anziano credette allora che fosse del tutto inutile
continuare a pescare nelle acque del Saiwo con un compagno che non riusciva a
trattenersi dal chiacchierare. Ma le preghiere insistenti e la solenne
dichiarazione di mantenere il silenzio convinsero l’anziano a fare un terzo
tentativo. Questa volta il giovane non proferì alcuna parola fino a quando la
rete non fu completamente tirata sulla sponda: era piena di pesci grandi e
grassi e da quel momento in poi anche il giovane dovette ammettere che i pesci
nelle acque del Saiwo non sopportano minimamente le chiacchiere.
Akseli Gallén-Kallela, Keitele järvi ("Lago Keitele") (1905). Wikimedia Commons. |
[1] Saiwo-gwelle (“pesce di
Saiwo”), secondo la Mitologia finnica di Christfrid Ganander è un pesce
dei monti che protegge la vita dello sciamano quando intraprende il viaggio
verso Jabmiaimo per riportare sulla terra l’anima di un ammalato oppure un
parente defunto, affinché possa fungere da spirito guardiano delle renne per
alcuni anni (Taglianetti ~ Ganassini 2019, s.v. “Saiwo-gwelle”, p. 173).
[2] Sing. saiwo-olmai, essi vengono descritti in Ganander come divinità dei monti al servizio degli sciamani o di coloro che, esperti nelle arti magiche, li assoldavano per scagliarli contro altri sciamani. Essi fornivano i loro consigli in sogno, o in altri modi, per risolvere difficili questioni (Taglianetti ~ Ganassini 2019, s.v. “Saiwo-olmai”, p. 173).
[3]
Il timore reverenziale che i sámi nutrivano nei
confronti dei luoghi Saiwo, e in particolare dei monti sacri, detti Saiwo
oppure Passe-Warek, è testimoniato dai numerosi divieti da osservare: i sámi si
recavano in questi luoghi con abiti da festa; si rifiutavano di dimorare nei
pressi del Saiwo altrimenti le urla dei bambini o altri rumori avrebbero
disturbato la divinità che vi risiedeva; quando, in viaggio, passavano davanti
a un monte sacro, non volevano dormire, perché sarebbe stato un segno di scarsa
considerazione nei confronti della divinità; nei pressi del monte sacro non
parlavano a voce alta, non cacciavano uccelli o qualsivoglia quadrupede e non
producevano alcun rumore; se erano vestiti di blu, dovevano togliersi questo
capo di vestiario fino a quando avevano oltrepassato il Saiwo; alle donne non
era concesso gettare lo sguardo sul monte sacro, altrimenti avrebbero potuto
farlo solamente coprendosi il volto, ma non si poteva in ogni caso avvicinare
se aveva le mestruazioni (von Unwerth 1911, p. 8).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
Poestion 1886. J. C. Poestion, Lappländische Märchen, Volkssagen, Räthsel und
Sprichwörter. Nach lappländischen, norwegischen und schwedischen Quellen, Druck
und Verlag von Carl Berold’s Sohn, Wien.
Taglianetti ~ Ganassini 2019. Christfrid
Ganander, Mitologia finnica, a cura di Luca Taglianetti, Marcello Ganassini,
Vocifuoriscena, Viterbo 2019 (1a ed. 2018).
Von Unwerth 1911. Wolf von
Unwerth, Untersuchungen über Totenkult und Ódinnverehrung bei Nordgermanen und Lappen mit exkursen zur altnordischen
Literaturgeschichte, Verlag von M. & H. Marcus,
Breslau.
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