LA
FANCIULLA DEL MARE
Fiaba
raccolta a Lebesby.
Titolo originale: Das Mädchen aus dem Meere.
Traduzione
dal tedesco di Elisa Zanchetta
C’era
una volta un contadino che aveva un unico figlio. Un giorno quest’ultimo andò a
caccia e giunse a una baia dove la spiaggia era coperta dalla sabbia più fine e
l’acqua chiara e limpida si spandeva splendente sul bianco suolo sabbioso. Il
giovanotto si sedette sul limitare del bosco e tirò fuori dallo zaino il
proprio pasto. Mentre mangiava di gusto, dal mare comparvero tre fanciulle, risalirono
la riva e adagiarono le loro vesti sul praticello, due di loro le appoggiarono nello
stesso posto, la terza un po’ più distante dalle altre. Dopo che si furono
spogliate, si avviarono nuovamente verso il mare per lavarsi. Si guardavano
intorno, giocavano e scherzavano, scrosciavano con le mani nell’acqua.
Poi
andarono nuovamente a riva, indossarono le loro vesti e, com’erano venute,
altrettanto all’improvviso scomparvero.
Anche
il giovanotto andò per la sua strada, ritornando tuttavia il giorno seguente
per vedere se le fanciulle si sarebbero palesate nuovamente; pertanto cercò un
nascondiglio da dove le avrebbe osservate da vicino senza essere notato. Se ne
stava lì seduto da non molto quando le tre fanciulle si presentarono, facendo
tutto ciò che avevano fatto la volta precedente; tuttavia, anche in questa
occasione, il giovane contadino non le disturbò, notò però che la veste che una
delle fanciulle lasciava lontana dalle altre era la più bella.
Il
terzo giorno tuttavia si avviò con il proposito che se avesse rivisto le
fanciulle per la terza volta, avrebbe nascosto la veste di colei che la
appoggiava separatamente dalle altre. Questo pensò e questo mise in atto. Le
fanciulle fecero nuovamente ritorno e mentre si facevano il bagno, il
giovanotto sgusciò fuori, prese la veste più graziosa e la nascose. Dopo che le
fanciulle si furono fatte il bagno e tornarono a riva, trovarono solo due delle
loro vesti nel posto dove le avevano appoggiate, le indossarono e scomparvero;
la terza, invece, non trovò la propria. Al che la sua ansia accrebbe e diventò
triste, correva avanti e indietro, gridando:
«Ehi,
a te che mi hai sottratto le vesti: se sei un uomo, ti prometto la fanciulla
più cara che tu possa desiderare; se invece sei una fanciulla, di prometto lo
sposo che desideri».
Allora
il giovanotto uscì allo scoperto e gridò:
«Non
ti restituirò le vesti fino a quando non mi avrai promesso di divenire tu
stessa mia moglie».
La
fanciulla piangeva e si lamentava, dicendo che ciò non era possibile.
«Non
posso vivere qui, poiché qui non sono nata e parimenti tu non puoi vivere nel
luogo da cui io provengo.»
Il
giovanotto pensava che tanto non importava e le parlò e la supplicò talmente a
lungo, fino a quando cedette promettendogli di divenire sua moglie, scoppiando
in lacrime. La condusse dai propri genitori, la fece battezzare dandole un nome
cristiano, dopodiché si unirono in matrimonio e dopo alcuni anni ebbero un
figlio. Quando esso fu diventato grande tanto da essere in grado di camminare,
accompagnò un giorno il padre alla dispensa. Nelle casse, tuttavia, da cui
doveva prendere delle cose, si trovavano gli indumenti che al tempo aveva messo
da parte e poiché al fanciullo sembravano particolarmente belli e rari, chiese
al padre a chi mai potessero appartenere. Al che il padre non diede alcuna
risposta, riponendo nuovamente le vesti al proprio posto.
Tuttavia
il giorno seguente, mentre l’uomo era nel bosco, e la madre con il fanciullo
erano rimasti soli, le raccontò delle vesti belle e rare che aveva visto
assieme al padre nella dispensa. La madre prese per mano il bambino, dicendogli
di mostrarle dove si trovavano queste rarità. Appena aprì la cassa, riconobbe le
proprie vesti che un tempo aveva portato con sé venendo dal mare e provò gioia
e tristezza allo stesso tempo; le prese e le portò con sé nella stanza: qui le
indossò, baciò il figlioletto che era rimasto sulla soglia a guardarla, si recò
sulla riva e sparì in mare da dove era venuta.
Quando
l’uomo fece ritorno a casa e non vide la moglie da nessuna parte, chiese al
bambino:
«Dov’è
la tua mamma?».
«La
mamma», disse, «è andata al mare.»
L’uomo
pensò subito che aveva ritrovato le sue vesti di donna del mare che egli aveva
riposto nella cassa e che avesse fatto ritorno alla sua vecchia dimora. Divenne
pertanto molto triste, non sapendo cosa fare; alla fine cercò Gieddagäts-galgjo[1] e le raccontò l’accaduto.
«Hai
figli?», gli chiese.
«Sì,»
rispose egli, «un figlio piccolo.»
«Allora
non rattristarti più,» disse, «ritornerà a casa altre tre volte; ma se la terza
volta la lascerai andare via, lei non tornerà mai più. Stanotte verrà per la
prima volta; tuttavia non ti dovrai muovere nel letto, ma farai finta di
dormire. Lei si siederà accanto al bambino, per un po’ lo accarezzerà e lo
coccolerà. La seconda notte tornerà nuovamente e si comporterà allo stesso
modo. Quando scenderà la terza sera, preparati un cantuccio nascosto dietro l’uscio,
ma sistema il letto in modo tale che sembri che tu vi sia disteso a dormire. Quando
lei giungerà per la terza volta, si tratterrà più a lungo; tuttavia nell’istante
in cui lei starà per andarsene, prendila per la vita e tienila stretta con
tutte le tue forze, parlale dolcemente e cerca di convincerla a restare con te.
Quando avrà acconsentito e non tenterà più di divincolarsi dalla tua stretta,
conducila nel letto e giaci con lei. Non appena si sarà addormentata, alzati
silenziosamente, esci e trova le vesti che indossava quando era una fanciulla
del mare. Si trovano in un angolo dell’abitazione, portali a me e farò in modo di
tenerli lontani da qualunque occhio umano.»
Andò
tutto come Gieddagäts-galgjo aveva previsto. Dopo che la madre era venuta dal
bambino per la seconda volta e si approssimava la sera del terzo giorno, l’uomo
fece come Gieddagäts-galgjo gli aveva consigliato. La lampada ancora ardeva
quando udì avvicinarsi la moglie che aprì la porta senza far rumore e sgattaiolò
nel posto in cui il bambino dormiva. Si sedette e iniziò ad accarezzare e a
coccolare il bambinello. Quando stava per andarsene e si trovava in mezzo alla
stanza, l’uomo l’afferrò, la tenne stretta e le rivolse dolcemente la parola,
impiegando tutti i mezzi che conosceva per persuaderla, così alla fine lei si
tranquillizzò e non tentò più di divincolarsi. Poi la condusse a letto e
giacque con lei. Ben presto lei si addormentò profondamente e allora l’uomo la
lasciò, si alzò e andò a cercare le vesti che aveva riposto davanti l’abitazione.
Le trovò e le portò a Gieddagäts-galgjo, la quale gli disse:
«Nasconderò
queste vesti in modo tale che nessun occhio umano le possa più vedere!». Dopodiché
l’uomo ritornò a casa e si distese al fianco della moglie.
[1] Gieddagäts-galgjo o Gieddagäts-akka
è il nome che la dea Sarakka assume nelle fiabe popolari sámi. A differenza
delle altre divinità sámi di
cui non è rimasto che il ricordo del nome, essa continua a svolgere un ruolo
importante nelle narrazioni popolari. In esse viene rappresentata come una
donna molto anziana, saggia e sempre benevola che sa tutto ciò che accade sulla
terra e, in caso di situazioni difficili è in grado di prestare soccorso fornendo
consigli e aiuti. A differenza di Sarakka, nelle fiabe Gieddagäts-galgjo non
dimora più presso il focolare, bensì a giedda-gätje, ovvero ai confini
del mondo abitato dall’uomo, da cui il suo nome Gieddagäts-galgjo. Essa svolge
il medesimo ruolo della finnica Leskiakka (la “vedova-akka”). Proprio come quest’ultima, anche
Gieddagäts-galgjo fu un tempo sposata, ma dopo la morte del marito vive
completamente sola e isolata dal mondo. Von Düben mise in dubbio
l’identificazione tra Gieddagäts-galgjo e Sarakka, sostenendo che si trattasse
di una sorta di fata presa dai vicini popoli scandinavi.
Félix Ziem, The call of the sirens. Wikimedia Commons. |
LA
DONNA DEL MARE
Fiaba
raccolta a Nässeby.
Titolo
originale: Das Meerweib
Traduzione
dal tedesco di Elisa Zanchetta
Una
sera illuminata dal chiarore lunare, due fratelli andarono al mare per appostare
una volpe che da lungi veniva sulla spiaggia per cercare pesce. Mentre erano lì
seduti emerse dalle acque una donna del mare e si sedette su una roccia non
molto lontana dalla spiaggia. Il fratello minore si accinse a sparare alla
donna, ma il maggiore lo trattenne dicendogli:
«Non
sparare, ci potrebbe accadere qualcosa di brutto se spari!».
Nel
frattempo la donna del mare se ne stava seduta sulla roccia, aveva sciolto i
suoi lunghi capelli e li pettinava. Di nuovo il fratello minore voleva colpirla,
ma il maggiore lo distolse:
«Che
cosa ti salta in mente? Non puoi lasciarla in pace? Non ci ha fatto niente! Per
quale ragione le vuoi sparare?».
Il
minore non si curava tuttavia di quanto il maggiore gli diceva, alzò il cane
dell’arma e si appoggiò il fucile alla guancia. Quando il fratello maggiore se
ne accorse, gridò alla donna del mare:
«Fai
attenzione, donna del mare, altrimenti ti andrà a finire male!».
In
quel medesimo istante sgusciò in acqua per poi riemergere parzialmente e
gridare al fratello maggiore che le voleva bene:
«Se
domani a questa stessa ora verrai qui, non avrai di che pentirti!».
Entrambi
i fratelli andarono allora a casa. La sera seguente il fratello maggiore si
recò da solo alla spiaggia e si sedette nel medesimo posto della sera
precedente. Non era seduto lì da molto che giunse una volpe nera. La uccise.
Subito dopo emerse dalle acque la donna del mare, si sedette sulla medesima
roccia e gridò al giovane uomo di raggiungerla.
«Non
devi temere nulla,» aggiunse, «non ti farò del male!»
Il
giovanotto guadò le acque fino a raggiungere la donna del mare.
«Siediti
sulla mia schiena», gli disse la donna del mare, «e affonda naso e bocca tra i
miei capelli, in modo che non soffochi quando scenderemo nelle profondità del
mare per giungere alla dimora di mio padre!»
Il
giovanotto fece come la donna del mare gli aveva detto e questa si tuffò in
mare con il ragazzo. Quando furono giunti sul fondo del mare, lei prese
un’ancora, la porse al giovanotto dicendogli:
«Quando
giungeremo alla casa di mio padre, egli vorrà vedere quanto sei forte; egli è
cieco e tu non dovrai salutarlo dandogli la mano, ma porgendogli questa
ancora!»
Giunsero
nel luogo in cui abitava la donna del mare; qui non c’era acqua e non era
neppure buio, ma era chiaro come una giornata soleggiata del mondo di sopra e
l’acqua vi fluiva sopra come un tetto.
Dopo
che il giovane uomo ebbe detto «Buon giorno» e porto l’ancora, il padre della
donna del mare l’afferrò con tale impeto da piegarla su stessa. Diedero allora
al giovanotto un’enorme quantità di oro e di argento a cui la donna del mare
aggiunse anche un grande calice d’oro che un tempo era stato sulla tavola del
re. Dopodiché risalirono allo stesso modo in cui erano discesi; al giovanotto
sembrava allora che tutto il mondo fosse di vetro e la donna del mare lo
ricondusse nel medesimo luogo in cui lo aveva preso con sé.
Il
giovanotto divenne un uomo abbiente e in mare ebbe sempre la fortuna dalla sua
parte. Il fratello minore, invece, che voleva colpire la donna del mare,
appassì come un albero roso dal tarlo. Tutto ciò che faceva, tutto ciò che
intraprendeva, aveva sempre un esito negativo: tutte le sue imprese furono
costantemente segnate dai cattivi auspici.
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