sabato 5 marzo 2011

A scuola di mitologia - 3


Utilizzo dei dati

I dati tratti dalle fonti primarie sono le necessarie premesse da cui lo studioso di mitologia parte per le sue analisi. Ma che valore dare a questi dati? Fino a qual punto ci possiamo affidare ad essi?


È una domanda scomoda, anche perché, molto spesso, le fonti primarie sono tutto ciò che abbiamo.


Qualsiasi lavoro su un personaggio, un attributo, un mito, richiede innanzitutto di poter contare su tutte le fonti che lo riguardano. Questo ahimé non è sempre possibile: capita che molti testi non siano disponibili. Capita anche di lasciarsi sfuggire alcune fonti importanti semplicemente perché non ne siamo a conoscenza.


Diciamo innanzitutto che bisognerebbe consultare sempre le fonti originali, cosa che disgraziatamente richiede anche una certa dimestichezza con la lingua in cui sono scritte. L'ideale sarebbe poter confrontare direttamente i manoscritti, ma per i nostri usi possono andare bene anche delle buone edizioni critiche, col testo normalizzato e le varianti testuali in nota. È utile affiancare al testo originale diverse traduzioni, che andranno studiate con attenzione, cercando di comprendere le ragioni delle scelte effettuate dai vari interpreti. È importante poter montare sulle spalle degli studiosi che ci hanno preceduto, ma il testo in lingua originale rimane imprescindibile.


Ora che abbiamo i testi, possiamo finalmente mettere insieme tutti i dati in essi presenti, al fine di costruire un dossier esaustivo riguardo a un mito o un personaggio. A questo punto, ci troviamo però di fronte a un nuovo dilemma: quanto sono affidabili i dati che abbiamo? Basterebbe la semplice constatazione che non tutte le fonti sono ugualmente attendibili, per costringerci a valutare il peso dei vari dati  a nostra disposizione. Ma molti altri fattori incidono sulla loro affidabilità.


Prima di iniziare un lavoro, dobbiamo dunque capire quanto possiamo fidarci, e fino a che punto, delle nostre premesse.



Per ogni dato, dovremmo chiederci, alla luce della ricerca che abbiamo intrapreso, quanto sia significativo, specifico e definitivo.


1. Un dato è significativo quando definisce in maniera importante un mito o un personaggio. Ad esempio, la clava è un attributo significativo nella figura di Hēraklês: senza di essa, l'eroe ellenico perde un'importante caratterizzazione. Viceversa, un lavoro che definisca Hēraklês come arciere, a partire dagli episodi in cui scaglia frecce (nell’abbattimento degli uccelli stinfalici, contro il dio-sole H́ēlios, oppure contro il centauro Néssos), non tiene conto del fatto che l’eroe ellenico si risolve a scagliar frecce soltanto in occasioni secondarie e accessorie. Certamente, Hēraklês è anche un arciere, ma il tratto  non è significativo, in quanto il personaggio non è mai definito dalla sua abilità nell’uso dell’arco (al contrario, ad esempio, di Apóllōn e Ártemis).


2. Un dato è specifico quando appartiene soltanto a un personaggio, e quindi caratterizzante in modo univoco.
Molti eroi greci combattono di spada, ma la clava è specifica di Hēraklês e il falcetto di Perseús. In genere i dati significativi sono anche specifici, ma non sempre. Ad esempio, che Hēraklês sia figlio di Zeús, è una caratteristica significativa del personaggio, ma non specifica. Molti altri eroi del mito greco vantano infatti la medesima discendenza, e quella di Hēraklês non sembra più necessaria di quanto non sia, ad esempio, quella di Perseús.


3. Un dato è definitivo quando non presenta ambiguità.
Che Perseús sia figlio di Zeús è un tratto definitivo: non conosciamo alcuna ragione perché debba essere altrimenti. Stessa cosa non possiamo dire, ad esempio, della paternità di Hēraklês. Anche se le fonti greche sono più o meno concordi ad assegnargli Zeús come padre divino, altre tradizioni puntano su diverse direzioni. Presso gli Etruschi, ad esempio, l'eroe era definito come Herχle Unial clan, dunque «figlio di Uni», cioè di quella medesima dea H́ēra che in Grecia era invece nemica acerrima dell’eroe. D'altra parte, è facile constatare che il nome stesso dell’eroe contiene in sé quello della dea (Hēraklês, «gloria di H́ēra»); da questo dettaglio sembra di capire che, sotto il facile motivo di un Hēraklês figlio di Zeús, vi sia uno strato più antico, e diverso. Uno studio incentrato sulla figliolanza di Hēraklês dal dio-cielo Zeús, che non tenga conto di tali difficoltà, sarà dunque viziato in partenza.


La questione è che il mito di Hēraklês è assai complesso e sfaccettato, e rovistando nella ricca biografia dell'eroe, possiamo praticamente trovare tutto quello che fa comodo alla nostra ricerca. Al contrario di quel  che si potrebbe ritenere, poter scegliere tra tanti dati non favorisce il rigore di una ricerca, a meno di non definire preventivamente quali elementi siano più importanti o significativi. Ad esempio, il ciclo delle dodici fatiche caratterizza Hēraklês in modo piuttosto specifico, anche se, andando ad analizzare i singoli episodi, scopriamo che alcuni sono più significativi di altri. L’uccisione del leone e la cattura del toro, ad esempio, sono motivi assai più pregnanti (e più antichi, almeno se giudichiamo dal parallelo con l’epopea di Gilgameš) di quanto non sia l’inseguimento la cattura del cinghiale o l'inseguimento della cerva.


Analogamente, molti elementi secondari del mito di Hēraklês, quale ad esempio la lotta con il gigante berbero Antaíos, o col dio-fiume Achelôjs, o la bizzarra apparizione dell’eroe in abiti femminili, paiono assai più antichi di molti altri motivi in seguito assurti a "canonici".


Un lavoro su Hēraklês, dovrebbe dunque tenere conto del peso dei dati che utilizziamo come premesse. Quanto sono significativi? Quanto specifici? Quanto definitivi? E ancor di più, appartengono al più antico strato del personaggio, o possiamo ascriverli come interpretazioni e aggiunte posteriori? Non sempre si può dare una risposta definitiva a tali domande. Senso critico e prudenza sono le migliori chiavi per procedere nel nostro studio.


Non dimentichiamo, infine, che raramente i diversi testi si presentano in maniera coerente. Anzi, le contraddizioni, nel nostro studio, sono più la regola che l'eccezione. Esse vanno mai ignorate. Se un dato X fa comodo alla nostra ipotesi, è giusto citarlo, ma se una fonte Y lo contraddice, è doveroso segnalare il problema. Le due fonti, infine, potrebbero non avere lo stesso peso, e se la più autorevole è Y, il dato X perde necessariamente di peso. E dobbiamo ammetterlo francamente. A tacere Y per far valere X, non rende la nostra ipotesi più solida. Convincerà il pubblico di bocca buona, ma non gli specialisti.

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