domenica 16 gennaio 2022

Mitologia e folklore sámi: le donne del mare nelle fiabe popolari

 

LA FANCIULLA DEL MARE

Fiaba raccolta a Lebesby.

Titolo originale: Das Mädchen aus dem Meere.

Traduzione dal tedesco di Elisa Zanchetta

  

C’era una volta un contadino che aveva un unico figlio. Un giorno quest’ultimo andò a caccia e giunse a una baia dove la spiaggia era coperta dalla sabbia più fine e l’acqua chiara e limpida si spandeva splendente sul bianco suolo sabbioso. Il giovanotto si sedette sul limitare del bosco e tirò fuori dallo zaino il proprio pasto. Mentre mangiava di gusto, dal mare comparvero tre fanciulle, risalirono la riva e adagiarono le loro vesti sul praticello, due di loro le appoggiarono nello stesso posto, la terza un po’ più distante dalle altre. Dopo che si furono spogliate, si avviarono nuovamente verso il mare per lavarsi. Si guardavano intorno, giocavano e scherzavano, scrosciavano con le mani nell’acqua.

Poi andarono nuovamente a riva, indossarono le loro vesti e, com’erano venute, altrettanto all’improvviso scomparvero.

Anche il giovanotto andò per la sua strada, ritornando tuttavia il giorno seguente per vedere se le fanciulle si sarebbero palesate nuovamente; pertanto cercò un nascondiglio da dove le avrebbe osservate da vicino senza essere notato. Se ne stava lì seduto da non molto quando le tre fanciulle si presentarono, facendo tutto ciò che avevano fatto la volta precedente; tuttavia, anche in questa occasione, il giovane contadino non le disturbò, notò però che la veste che una delle fanciulle lasciava lontana dalle altre era la più bella.

Il terzo giorno tuttavia si avviò con il proposito che se avesse rivisto le fanciulle per la terza volta, avrebbe nascosto la veste di colei che la appoggiava separatamente dalle altre. Questo pensò e questo mise in atto. Le fanciulle fecero nuovamente ritorno e mentre si facevano il bagno, il giovanotto sgusciò fuori, prese la veste più graziosa e la nascose. Dopo che le fanciulle si furono fatte il bagno e tornarono a riva, trovarono solo due delle loro vesti nel posto dove le avevano appoggiate, le indossarono e scomparvero; la terza, invece, non trovò la propria. Al che la sua ansia accrebbe e diventò triste, correva avanti e indietro, gridando:

«Ehi, a te che mi hai sottratto le vesti: se sei un uomo, ti prometto la fanciulla più cara che tu possa desiderare; se invece sei una fanciulla, di prometto lo sposo che desideri».

Allora il giovanotto uscì allo scoperto e gridò:

«Non ti restituirò le vesti fino a quando non mi avrai promesso di divenire tu stessa mia moglie».

La fanciulla piangeva e si lamentava, dicendo che ciò non era possibile.

«Non posso vivere qui, poiché qui non sono nata e parimenti tu non puoi vivere nel luogo da cui io provengo.»

Il giovanotto pensava che tanto non importava e le parlò e la supplicò talmente a lungo, fino a quando cedette promettendogli di divenire sua moglie, scoppiando in lacrime. La condusse dai propri genitori, la fece battezzare dandole un nome cristiano, dopodiché si unirono in matrimonio e dopo alcuni anni ebbero un figlio. Quando esso fu diventato grande tanto da essere in grado di camminare, accompagnò un giorno il padre alla dispensa. Nelle casse, tuttavia, da cui doveva prendere delle cose, si trovavano gli indumenti che al tempo aveva messo da parte e poiché al fanciullo sembravano particolarmente belli e rari, chiese al padre a chi mai potessero appartenere. Al che il padre non diede alcuna risposta, riponendo nuovamente le vesti al proprio posto.

Tuttavia il giorno seguente, mentre l’uomo era nel bosco, e la madre con il fanciullo erano rimasti soli, le raccontò delle vesti belle e rare che aveva visto assieme al padre nella dispensa. La madre prese per mano il bambino, dicendogli di mostrarle dove si trovavano queste rarità. Appena aprì la cassa, riconobbe le proprie vesti che un tempo aveva portato con sé venendo dal mare e provò gioia e tristezza allo stesso tempo; le prese e le portò con sé nella stanza: qui le indossò, baciò il figlioletto che era rimasto sulla soglia a guardarla, si recò sulla riva e sparì in mare da dove era venuta.

Quando l’uomo fece ritorno a casa e non vide la moglie da nessuna parte, chiese al bambino:

«Dov’è la tua mamma?».

«La mamma», disse, «è andata al mare.»

L’uomo pensò subito che aveva ritrovato le sue vesti di donna del mare che egli aveva riposto nella cassa e che avesse fatto ritorno alla sua vecchia dimora. Divenne pertanto molto triste, non sapendo cosa fare; alla fine cercò Gieddagäts-galgjo[1] e le raccontò l’accaduto.

«Hai figli?», gli chiese.

«Sì,» rispose egli, «un figlio piccolo.»

«Allora non rattristarti più,» disse, «ritornerà a casa altre tre volte; ma se la terza volta la lascerai andare via, lei non tornerà mai più. Stanotte verrà per la prima volta; tuttavia non ti dovrai muovere nel letto, ma farai finta di dormire. Lei si siederà accanto al bambino, per un po’ lo accarezzerà e lo coccolerà. La seconda notte tornerà nuovamente e si comporterà allo stesso modo. Quando scenderà la terza sera, preparati un cantuccio nascosto dietro l’uscio, ma sistema il letto in modo tale che sembri che tu vi sia disteso a dormire. Quando lei giungerà per la terza volta, si tratterrà più a lungo; tuttavia nell’istante in cui lei starà per andarsene, prendila per la vita e tienila stretta con tutte le tue forze, parlale dolcemente e cerca di convincerla a restare con te. Quando avrà acconsentito e non tenterà più di divincolarsi dalla tua stretta, conducila nel letto e giaci con lei. Non appena si sarà addormentata, alzati silenziosamente, esci e trova le vesti che indossava quando era una fanciulla del mare. Si trovano in un angolo dell’abitazione, portali a me e farò in modo di tenerli lontani da qualunque occhio umano.»

Andò tutto come Gieddagäts-galgjo aveva previsto. Dopo che la madre era venuta dal bambino per la seconda volta e si approssimava la sera del terzo giorno, l’uomo fece come Gieddagäts-galgjo gli aveva consigliato. La lampada ancora ardeva quando udì avvicinarsi la moglie che aprì la porta senza far rumore e sgattaiolò nel posto in cui il bambino dormiva. Si sedette e iniziò ad accarezzare e a coccolare il bambinello. Quando stava per andarsene e si trovava in mezzo alla stanza, l’uomo l’afferrò, la tenne stretta e le rivolse dolcemente la parola, impiegando tutti i mezzi che conosceva per persuaderla, così alla fine lei si tranquillizzò e non tentò più di divincolarsi. Poi la condusse a letto e giacque con lei. Ben presto lei si addormentò profondamente e allora l’uomo la lasciò, si alzò e andò a cercare le vesti che aveva riposto davanti l’abitazione. Le trovò e le portò a Gieddagäts-galgjo, la quale gli disse:

«Nasconderò queste vesti in modo tale che nessun occhio umano le possa più vedere!». Dopodiché l’uomo ritornò a casa e si distese al fianco della moglie.

Da quel giorno condussero un’esistenza felice; tutto andava secondo i loro desideri e i parenti della donna portavano loro dal fondo del mare tutto


[1] Gieddagäts-galgjo o Gieddagäts-akka è il nome che la dea Sarakka assume nelle fiabe popolari sámi. A differenza delle altre divinità sámi di cui non è rimasto che il ricordo del nome, essa continua a svolgere un ruolo importante nelle narrazioni popolari. In esse viene rappresentata come una donna molto anziana, saggia e sempre benevola che sa tutto ciò che accade sulla terra e, in caso di situazioni difficili è in grado di prestare soccorso fornendo consigli e aiuti. A differenza di Sarakka, nelle fiabe Gieddagäts-galgjo non dimora più presso il focolare, bensì a giedda-gätje, ovvero ai confini del mondo abitato dall’uomo, da cui il suo nome Gieddagäts-galgjo. Essa svolge il medesimo ruolo della finnica Leskiakka (la “vedova-akka”). Proprio come quest’ultima, anche Gieddagäts-galgjo fu un tempo sposata, ma dopo la morte del marito vive completamente sola e isolata dal mondo. Von Düben mise in dubbio l’identificazione tra Gieddagäts-galgjo e Sarakka, sostenendo che si trattasse di una sorta di fata presa dai vicini popoli scandinavi.


Félix Ziem, The call of the sirens. Wikimedia Commons.



LA DONNA DEL MARE

Fiaba raccolta a Nässeby.

Titolo originale: Das Meerweib

Traduzione dal tedesco di Elisa Zanchetta

 

Una sera illuminata dal chiarore lunare, due fratelli andarono al mare per appostare una volpe che da lungi veniva sulla spiaggia per cercare pesce. Mentre erano lì seduti emerse dalle acque una donna del mare e si sedette su una roccia non molto lontana dalla spiaggia. Il fratello minore si accinse a sparare alla donna, ma il maggiore lo trattenne dicendogli:

«Non sparare, ci potrebbe accadere qualcosa di brutto se spari!».

Nel frattempo la donna del mare se ne stava seduta sulla roccia, aveva sciolto i suoi lunghi capelli e li pettinava. Di nuovo il fratello minore voleva colpirla, ma il maggiore lo distolse:

«Che cosa ti salta in mente? Non puoi lasciarla in pace? Non ci ha fatto niente! Per quale ragione le vuoi sparare?».

Il minore non si curava tuttavia di quanto il maggiore gli diceva, alzò il cane dell’arma e si appoggiò il fucile alla guancia. Quando il fratello maggiore se ne accorse, gridò alla donna del mare:

«Fai attenzione, donna del mare, altrimenti ti andrà a finire male!».

In quel medesimo istante sgusciò in acqua per poi riemergere parzialmente e gridare al fratello maggiore che le voleva bene:

«Se domani a questa stessa ora verrai qui, non avrai di che pentirti!».

Entrambi i fratelli andarono allora a casa. La sera seguente il fratello maggiore si recò da solo alla spiaggia e si sedette nel medesimo posto della sera precedente. Non era seduto lì da molto che giunse una volpe nera. La uccise. Subito dopo emerse dalle acque la donna del mare, si sedette sulla medesima roccia e gridò al giovane uomo di raggiungerla.

«Non devi temere nulla,» aggiunse, «non ti farò del male!»

Il giovanotto guadò le acque fino a raggiungere la donna del mare.

«Siediti sulla mia schiena», gli disse la donna del mare, «e affonda naso e bocca tra i miei capelli, in modo che non soffochi quando scenderemo nelle profondità del mare per giungere alla dimora di mio padre!»

Il giovanotto fece come la donna del mare gli aveva detto e questa si tuffò in mare con il ragazzo. Quando furono giunti sul fondo del mare, lei prese un’ancora, la porse al giovanotto dicendogli:

«Quando giungeremo alla casa di mio padre, egli vorrà vedere quanto sei forte; egli è cieco e tu non dovrai salutarlo dandogli la mano, ma porgendogli questa ancora!»

Giunsero nel luogo in cui abitava la donna del mare; qui non c’era acqua e non era neppure buio, ma era chiaro come una giornata soleggiata del mondo di sopra e l’acqua vi fluiva sopra come un tetto.

Dopo che il giovane uomo ebbe detto «Buon giorno» e porto l’ancora, il padre della donna del mare l’afferrò con tale impeto da piegarla su stessa. Diedero allora al giovanotto un’enorme quantità di oro e di argento a cui la donna del mare aggiunse anche un grande calice d’oro che un tempo era stato sulla tavola del re. Dopodiché risalirono allo stesso modo in cui erano discesi; al giovanotto sembrava allora che tutto il mondo fosse di vetro e la donna del mare lo ricondusse nel medesimo luogo in cui lo aveva preso con sé.

Il giovanotto divenne un uomo abbiente e in mare ebbe sempre la fortuna dalla sua parte. Il fratello minore, invece, che voleva colpire la donna del mare, appassì come un albero roso dal tarlo. Tutto ciò che faceva, tutto ciò che intraprendeva, aveva sempre un esito negativo: tutte le sue imprese furono costantemente segnate dai cattivi auspici.


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