venerdì 22 aprile 2011

Mitologia slava. Il problema delle inconsistenze

A meno di non amare svisceratamente il mondo russo, la mitologia slava non ha mai riscosso molto interesse da parte degli stessi appassionati di miti e leggende, sempre troppo occupati ad elencare le genealogie greche o a perdersi dietro le nebbie dell'epica celtica. Gli autori dei dizionari mitologici, si limitano a citare le divinità russe solo per completezza di esposizione, liquidandole con qualche nota frettolosa: Perunŭ dio del tuono, Svarogŭ dio del fuoco, Velesŭ dio del bestiame, ma senza un reale interesse. Dato che questi «autori» si limitano a copiarsi tra di loro, gli errori e le approssimazioni si perpetuano e si moltiplicano. Moltissimi testi o siti web  riportano informazioni tratte dalle fonti più svariate, senza il minimo senso critico, e finiscono con l'assegnare a questo o quel dio una personalità precostituita.


Questo è tanto più vero da quando il mezzo informatico ha permesso a studiosi e appassionati di tutto il mondo di scambiarsi informazioni in tempo reale. D'un tratto si sono resi disponibili studi e fonti altrimenti irreperibili. Di contro, alla quantità delle informazioni non corrisponde necessariamente la loro qualità. Esplorando il web su qualunque argomento, si possono trovare molti studi pregevoli, rigorosi e ben documentati, e poco importa se portino firme note nel mondo accademico o quelle di semplici appassionati. Naturalmente vi è anche una gran quantità di spazzatura: ma basta un minimo di senso critico per escludere quanto è stato scritto da dilettanti o da incompetenti.
Esplorando i non pochi siti – soprattutto russi e serbi – incentrati sulla tradizione, la mitologia e la sapienza slava, non è difficile trovare una quantità di informazioni, genealogie, miti, preghiere, invocazioni, su questo o quel dio, questo o quel personaggio, ben superiore a quanto risulta nelle fonti in nostro possesso. Una piccola ricerca (le bibliografie di tali siti sono tutto tranne rigorose) rivela che la maggior parte di tali informazioni sono state tratte da testi mitologici poco o per nulla attendibili, prodotti in epoca piuttosto recente. Wikipedia, purtroppo, non fa eccezione: i suoi redattori si limitano molto spesso a prendere notizie da fonti secondarie, senza alcuna competenza della materia.
Il fatto è che, dalla fine del Settecento, con la riscoperta delle mitologie nazionali, i popoli slavi si riscoprirono privi di un corpus di miti e leggende paragonabile a quello degli altri popoli, e molti intellettuali, perlopiù usciti dalle file dei vari nazionalismi, provvidero a produrre essi stessi il necessario materiale. Trattiamo in questo piccolo articolo di tre pseudo-biblia, testi apocrifi (forgeries come dicono gli inglesi) che pure hanno avuto (e hanno) un discreto seguito tra gli appassionati di mitologia slava.

Le glosse del Mater Verborum

Un caso emblematico è rappresentato dal manoscritto medievale latino Mater Verborum, prodotto in Svizzera nel IX secolo. Inizialmente custodito nella biblioteca privata del conte František Antonín Kolovrat-Libštejnský [Franz Anton von Kolowrat-Liebsteinsky] (1778-1861), il prezioso documento passò nel 1818 al Museo Nazionale di Praga, inaugurato nello stesso anno. Poco tempo dopo, nel 1827, il filologo Václav Hanka (1791-1861) attirò l'attenzione del mondo della cultura su una serie di glosse appuntate ai margini delle sue pagine.


La scoperta ebbe una notevole risonanza, in quanto si trattava di una delle più antiche testimonianze in lingua ceca. Tra l'altro, alcune glosse riportavano i nomi di antiche divinità slave, interpretate attraverso il confronto con analoghe figure del mondo classico. Ad esempio, Velesŭ veniva identificato con Pán; Živa con Ceres; Marzanna con Hekátē. I nomina corrispondevano perlopiù a quelli di divinità slave già conosciute, ma alcuni erano del tutto nuovi, come gli dèi Kirt, Hladolet e Sytiwrat, quest'ultimo addirittura paragonato a Saturnus.
Uno studio paleografico sul documento venne eseguito soltanto nel 1878, e si scoprì che buona parte delle glosse erano false o contraffatte. Il colpevole, ovviamente, era proprio Hanka, il quale, da ardente panslavista, non era nuovo alla fabbricazione di falsi documenti storici o mitologici.
Ma lo glosse del Mater Verborum sono solo la punta dell'iceberg: il numero di forgeries prodotte in Boemia nella prima metà dell'Ottocento è davvero impressionante. Ad ogni buon conto, si tenga presente che, all'epoca, la Cecoslovacchia era parte dell'Impero Austroungarico: questi documenti, avanzati come prova dell'antichità della cultura ceca e della sua pari dignità nei confronti di quella tedesca, contribuivano ad alimentare la coscienza nazionale del popolo boemo.

I Veda Slovena

Veda Slovena, pretesi canti precristiani della Bulgaria, furono pubblicati a Belgrado nel 1874 e a San Pietroburgo nel 1881. In una sequela di ben ventitremila versi, questi canti mescolano le divinità slave a quelle indiane, occupandosi persino di Alessandro il Grande. Il loro compilatore, il serbo-bosniaco Stjepan Verković, aveva preteso di averli raccolti dalla viva voce del popolo in remote regioni della Macedonia. In realtà i canti erano stati commissionati al bulgaro Ivan Gologanov (1839-1895), un maestro elementare del villaggio di Tarlis, presso Valovišta (attuale Sidērókastro in Grecia), il quale aveva una buona conoscenza dell'epica omerica. La mistificazione aveva anche in questo caso ragioni patriottiche: fornire alla Bulgaria un épos nazionale che restituisse al paese, allora sottomesso all'Impero Ottomano, la dignità e la fierezza di un passato mitico.

L'autenticità dei Veda Slovena fu per molti anni al centro di un acceso dibattito tra i più insigni slavisti d'Europa e quando, molti anni dopo, il primo ministro della moderna Bulgaria, Stefan Stambolov, invitò Gologanov a Sofia e gli offrì un vitalizio, ebbe a giustificarsi dicendo che non aveva importanza se Gologanov avesse inventato lui quei canti o gli fossero stati tramandati: essi avevano attirato l'attenzione dell'Europa colta sull'ignorata nazione bulgara e questo era ciò che importava.

Il Libro di Veles

Ma se possiamo guardare con un po' di simpatia ai Veda Slovena, che in fondo non si discostano molto, nelle intenzioni, dai canti ossianici di James Macpherson, non è questo il caso del cosiddetto Velesova Kniga o «Libro di Veles», il quale è anch'esso un falso, peraltro prodotto con ragioni meno nobili.
La «scoperta» di questo testo viene fatta risalire al 1919, ad opera di un colonnello dell'esercito bielorusso, certo Ali Fëdor Arturovič Izenbek, il quale avrebbe trovato, in un maniero dei pressi di Charkov, una trentina di tavolette di legno sulle quali apparivano delle iscrizioni in un alfabeto simile al cirillico. Le tavolette sarebbero state poi portate da Izenbek a Bruxelles, dove sarebbero scomparse nel 1941, durante l'occupazione tedesca. Secondo una versione, esse sarebbero state requisite dalla Ahnenerbe Forschungs und Lehrgemeinschaft (la «Società di ricerca dell'eredità ancestrale»); secondo un'altra, sarebbero andate distrutte in un incendio.
Ne sarebbero però rimaste delle trascrizioni, eseguite da un altro emigrato bielorusso, il paleografo e bizantinista Jurij Petrovič Miroljubov (1892-1970), l'unica persona a cui il geloso Izenbek avrebbe mostrato le preziose tavolette.
Il testo di Miroljubov venne pubblicato a San Francisco, sulla rivista di slavistica Žar Ptica, tra il 1957 e il 1959. Poco tempo dopo, l'entomologo ucraino Sergej Jakovlevič Paramonov (1894-1967), già autore di vari studi di letteratura e storia slava pubblicati sotto lo pseudonimo di Sergej Lesnoj, si mise al lavoro sugli appunti di Miroljubov e curò un'altra traduzione del Velesova Kniga, non del tutto compatibile con quella uscita su Žar Ptica.
Il testo, apparentemente scritto da sacerdoti pagani tra il V e il IX sec. d.C., si apre con un'invocazione al dio Velesŭ, per poi raccontare l'etnogenesi dei popoli slavi dalla preistoria fino alla conversione della Russia al cristianesimo (anno 988). Secondo il testo, i più lontani antenati degli Slavi erano anticamente stanziati in una lontana terra artica, da dove sarebbero poi migrati verso sud per sfuggire alle glaciazioni. Dopo essersi divisi in tribù ed aver a lungo combattuto con altre popolazioni, questi proto-Slavi – che il testo identifica con gli Ariani tout-court – sarebbero passati dall'Asia alla Persia, quindi alla Mesopotamia e all'Egitto. Giunti in Anatolia, avrebbero fondato la città di Troia, per poi scontrarsi con gli Achei. Stabilitisi più tardi nelle steppe russe, gli Slavi avrebbero condotto un'esistenza pacifica, guidati da sovrani benevoli e sapienti sacerdoti.
Si noti che il Velesova Kniga attribuisce agli Slavi un alto livello etico e un elevato grado di spiritualità, mentre gli altri popoli, Greci e Romani in primis, sono presentati invece come barbari e rapaci. Affrontati vittoriosamente i Romani guidati da Traiano, e quindi i Goti, i Russi sarebbero stati infine sottomessi dai Variaghi. La conversione a opera dei Bizantini avrebbe messo fine fine all'idilliaco paganesimo slavo, creando le condizioni della nascita del primo stato russo.


Oltre al fatto che non sussiste alcuna possibilità di verifica sui presunti «originali», se mai siano esistiti (l'unica foto scattata da Miroljubov è piuttosto controversa), il Velesova Kniga è considerato da tutti gli slavisti privo di qualsiasi fondamento di autenticità. Autore del testo è, assai probabilmente, lo stesso Miroljubov, il quale avrebbe anche inventato l'intera storia del ritrovamento delle tavolette da parte di Izenbek e della loro scomparsa.
Il testo sottintende infatti sia certe concezioni esoteriche sulle origini iperboree della civiltà ariana (che rimandano in maniera sospetta alle idee di Tilak), sia le teorie dell'euroasismo, in voga tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, secondo il quale gli antenati degli Slavi sarebbero giunti nelle attuali sedi dall'Asia centrale. In effetti, alcune delle pubblicazioni di Miroljubov – prolifico autore di saggi sulla mitologia e il folklore slavo – mostrano il suo interesse verso interpretazioni di questo genere. Chi ha scritto il Velesova Kniga aveva sicuramente una certa conoscenza del folklore slavo, ma nessuna competenza in fatto di storia e religione.
Nonostante il Velesova Kniga circolasse in Russia anche durante il periodo comunista, il governo vigilava per evitare gli eccessi nazionalistici. Ma dopo la caduta dell'Unione Sovietica, nel 1991, i fanatici del Velesova Kniga hanno potuto rilanciare la pubblicazione del testo e gli ambienti neopagani sono diventati i più avidi recettori di tale letteratura apocrifa. Tra i difensori più noti, lo scrittore Aleksandr Igorevič Asov si è battuto a favore dell'autenticità del testo, in libri, articoli e programmi televisivi, rivestendolo di un carattere eminentemente «sacro».
A fronte, tuttavia, dell'entusiastica pretesa di autenticità del Velesova Kniga nonché delle numerose edizioni continuamente ristampate, lo studioso Anatolij Alekseevič Alekseev, dopo aver raccolto in un libro le opinioni di molti autorevoli slavisti, ha concluso così l'annosa querelle: «La questione dell'autenticità del Velesova Kniga si risolve in modo semplice e inequivocabile: si tratta di un falso malamente contraffatto. Non vi è alcun argomento in difesa della sua autenticità. Un gran numero di argomenti depongono invece a suo sfavore».
Difatti, la forma di cirillico utilizzata – con le lettere allineate sotto una linea orizzontale, al modo della scrittura devanāgarī – è incompatibile con le più elementari conoscenze di paleografia slava, oltre a rivelare un'accozzaglia di fenomeni fonetici incompatibili tra loro. La lingua è un miscuglio incoerente di parole russe, ucraine, polacche e ceche, con singolari strutture grammaticali che non è possibile ricondurre ad alcuna parlata slava, né antica, né moderna; le caratteristiche letterarie sono in conflitto con ogni tipo conosciuto di epica antica (nessuna allitterazione, ritmica goffa, linguaggio scarsamente poetico, esagerata magniloquenza, etc.).

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Nonostante le glosse del Mater Verborum siano un'evidente contraffazione, i Veda Slovena un'opera romantica e il Velesova Kniga un falso costruito in evidente malafede, tutti questi testi vengono spesso utilizzati come fonti di mitologia slava da molti appassionati mitografi, e considerati «autentici» – se non «sacri» – dai molti gruppi nazionalisti e neopagani sorti nei paesi dell'est dopo la caduta dei regimi comunisti.
Capita spesso, consultando la saggistica prodotta nei paesi dell'est europeo, imbattersi in ricercatori assai ben disposti a effettuare prodigi di interpretazione, al fine di aggiungere materiale mitologico... anche a costo di inventarselo. È il caso del serbo Veselin Čajkanović (1881-1946), insigne classicista, teologo e storico delle religioni, a volte paragonato addirittura a Mircea Eliade. I suoi scritti tracciano vividissime descrizioni di divinità slavo-meridionali... che a un esame attento appaiono però completamente inconsistenti. Le tracce esiziali pescate nel folklore e nelle agiografie non giustificano in nessun modo le appassionate ed entusiastiche ricostruzioni di Čajkanović e dei suoi emuli.
Così, buona parte delle informazioni che circolano in rete riguardo la mitologia slava sono invenzioni assolutamente infondate e prive di valore mitologico. Dispiace vedere come vengano spesso prese sul serio da studiosi ed appassionati, i quali non hanno gli strumenti necessari per separare il grano dal loglio. Molte recenti divulgazioni, anche in Italia, riportano stralci di mitologia slava derivate in ultima analisi da fonti inconsistenti.


Bibliografia
  • ALEKSEEV Anatolij A.: Čto dumajut učenye o Velesovoj Knyge. Nauka, Mosca 2004.
  • GASKILL Howard: The Reception of Ossian in Europe. Athlone, Londra 2002.