domenica 12 settembre 2010

Terra Guerra Magia

Terra Guerra Magia è, fin dal titolo, un libro incentrato sulla teoria del trifunzionalismo indoeuropeo. Giacomo Scalfari l'ha scritto utilizzando il materiale della propria tesi di laurea, discussa all'Università di Bologna nel 2002. Pubblicato l'anno successivo (2003) dalla Keltia Editrice di Aosta, il libro segue le tracce dell'ideologia tripartita degli Indoeuropei nell'arco di quattromila anni, dal loro arrivo in Europa, nel III millennio a.C., alla fine del Medioevo.



Alla base vi sono le celeberrime ipotesi di Georges Dumézil, il quale, in una serie di studi magistrali, aveva ripartito le istanze religiose e sociali degli Indoeuropei in uno schema di tre funzioni fondamentali: sapienza e magia; guerra; fecondità e ricchezza.


Scalfari affronta il tema introducendo un'ulteriore difficoltà. Egli analizza il motivo della "Guerra di fondazione" - il mitico scontro tra gli dèi di prima e seconda funzione contro quelli appartenenti alla terza funzione, destinato a portare all'istituzione definitiva di un pantheon funzionalmente completo - e lo fa offrendo una suggestiva interpretazione. Egli vede in questo mito una traccia dell'antica invasione, da parte dei pastori indoeuropei, patriarcali e guerrieri, della Vecchia Europa matriarcale e pacifica ipotizzata da Marija Gimbutas, in seguito assorbita e integrata del nuovo sistema. È una possibilità da cui lo stesso Dumézil prendeva le distanze: secondo l'illustre studioso, il sistema delle tre funzioni faceva parte ab origine del pensiero indoeuropeo e il mito della Guerra di Fondazione intendeva piuttosto dare una giustificazione mitologica della loro unità. Scalfari non nega questo assunto, ma sostiene che il mito della Guerra di Fondazione sia stato via via riattualizzato man mano che gli indoeuropei assorbivano i popoli autoctoni della Vecchia Europa. Tal modo fornisce un'immagine assai interessante di un evento protostorico che, pure, è alla base della nostra cultura.


Non è questa la sede per prendere posizione sulla questione. Un lavoro intelligente e articolato come quello di Scalfari è sempre il benvenuto e fornisce molto materiale di riflessione. Nell'analizzare il mito della Guerra di Fondazione, egli si concentra soprattutto sugli esiti dei personaggi di terza funzione. Sono piacenti e belli, eppure malevoli, pronti a impossessarsi della regalità, ma funzionalmente incapaci di gestirla. Ma Scalfari, rifacendosi agli studi Joël Grisward, insegue i fili del trifunzionalismo ben oltre le antiche mitologie, ma fin dentro la società tripartita del Medioevo feudale (distinta in oratores, pugnatores e agricultores), ritrovando l'ideologia indoeuropea sia nel ciclo carolingio dei Narbonesi, sia, ancor più, nel ciclo bretone.


Se tutto il libro è condotto con intelligenza e spessore, quest'ultima parte è stata, per chi scrive, un'entusiasmante scoperta. Scalfari analizza nei dettagli alcuni elementi della leggenda di Artù. Egli rintraccia, nella coppia di personaggi a cui il re morente ordina di gettare la spada in acqua, un esito della coppia di terza funzione dei miti indoeuropei. Inseguiti sul filo dei testi, Cei e Bedwyr (Kay e Bedivere) ne emergono con sfaccettature inedite e le analisi di Scalfari dànno un significato a molti episodi che li hanno per protagonisti. Perché Cei mente a suo padre, affermando di aver estratto lui la spada dalla roccia? Perché Bedwyr si dimostra talmente avido da rifiutare di gettare la spada nell'acqua? I motivi sono assai più antichi e profondi. Così come nel racconto del graal di Chrétien de Troyes, dove Perceval è destinato a prendere il posto del Re Magagnato, è compreso un eco dell'episodio di Lúg che giunge alle porte di Temáir, per sostituirsi a re Núada, anch'egli presentato come ferito e incapace di garantire una corretta regalità. Leggendo, si notano molti punti in cui lo spazio disponibile non ha dato modo a Scalfari di seguire tutte le possibili tracce fino in fondo e, nonostante su Artù sia stato detto tutto e il contrario di tutto, l'autore riesce a dare l'impressione di un mondo inesplorato, pieno di delizie e meraviglie.  È esattamente come vorrei che finalmente ci si occupasse delle storie di Artù. In una cinquantina di pagine, Scalfari riesce a dire sul ciclo arturiano molto di più di tanti libri più vasti e blasonati ma, in fin dei conti, superficiali e privi di spessore.


È un lavoro appena iniziato, e auguro a Giacomo Scalfari di continuare i suoi studi.


Un articolo dello stesso Scalfari, tratto dalla prima parte del suo libro, è stato pubblicato su Bifröst, alla pagina Quando gli dèi si facevano la guerra. L'autore ha anche un blog, La scarpa di Víðarr. Per ordinare il libro, si può far riferimento alla pagina sul sito della casa editrice Keltia.

11 commenti:

  1. Non ho letto il libro ma dalla recensione pare insista molto su posizioni esasperate in larghissima parte superate (mi riferisco a certi clichés trifunzionali, specialmente quelli degli imitatori), nonchè su posizioni evemeristiche obsolete che gira e rigira sono sempre le stesse da lunghissimo tempo. Dall'altra parte, esistono decine di ricerche che ci dicono che l'andare a sondare il medioevo con la griglia trifunzionale indeuropea richieda invece enormi problemi di metodo e di (ri)valutazione delle fonti, cosa che per motivi cronologici e ideologici Duby, Niccoli, Grisward o chi per loro non hanno fatto.
    P.S. La parte sulla spada mi ha fatto tornare in mente questo numero monografico (http://www.heroicage.org/issues/11/toc.php), chissà che l'autore non trovi acqua per il proprio mulino...

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  2. Effettivamente l'ipotesi trifunzionalista si è in seguito trasformata in una vera e propria ideologia, e molti seguaci di Dumézil, o presunti tali, hanno cominciato a vedere triadi dappertutto. Da parte mia, utilizzo lo schema trifunzionale come, appunto, uno schema molto utile per classificare i personaggi secondo le loro funzioni, ma in molti punti trovo che il grande Georges si sia lasciato un po' prendere la mano.
    Ad esempio, cosa diavolo ha in comune Mitra con Týr? Avrei capito Mitra con Forseti, ma Týr? Suvvia, caro Georges...
    Detto questo, il lavoro di Scalfari, a mio avviso, è piuttosto rigoroso. Non sono d'accordo con tutto, beninteso, e su molti punti non ho le competenze necessarie per giudicare la validità del lavoro (es. la società medievale), ma le ipotesi comparatistiche offrono una gran quantità di spunti interessanti.
    Insomma, non sarà un lavoro perfetto, ma... ad averne di più di libri così!

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  3. Stefano credo molto alla tua opinione. Dal canto mio, delle ottime osservazioni sul problema trifunzionale, come sempre chiare ma rigorose, le ho trovate su una dispensa del grande Marcello Meli: http://www.maldura.unipd.it/dllags/docentianglo/m....

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  4. Pardon intendevo *Dario*, non saettarmi :)

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  5. E io tengo molto conto della tua competenza, caro Luca. L'articolo di Meli che hai postato è davvero interessante, e ti ringrazio per avermelo fatto conoscere! Evidenzia perfettamente i limiti e il campo d'applicazione dell'ipotesi trifunzionale, ed è utile e necessario! Personalmente, mi interessa più il lato comparatistico (cioè le omologie, il rintracciare forme comuni dei miti, mentre Dumézil era più interessato alle analogie, ovvero nel collocare i vari personaggi nelle varie griglie funzionali). Detto questo, non nego i limiti del libro di Scalfari, che dipende da quello di Dumézil, anche laddove se ne dissocia. Ma l'ho trovato svolto con attenzione e rigore, ed è pieno di idee e suggerimenti.
    Poi, possiamo anche discutere la validità e i limiti del lavoro.

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  6. Mi piace pensare che quel *caro Luca* sia un mero refuso ^_^ Mah dal canto mio essendo ancora infatuato, tra gli altri, da Propp, l'occhio mi cade spesso su certe analogie strutturali e/o funzionali. Comunque mi piace credere che analogie e omologie vadano a braccetto, e non necessariamente nell'ordine: un termine come "isomorfismo" usato a mo' di chiave è molto di moda (dopo Ginzburg, direi), e non certo a caso.

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  7. Salve, sono l'autore di "Terra Guerra Magia". Mi spiace che Silvanus ritenga "posizioni esasperate" tesi e ipotesi formulate da studiosi che documentano sempre con rigore le proprie affermazioni, che sono, poi, condivisibili o meno. Tesi "in larghissima parte superate"? Da chi? E chi lo ha deciso? Quali sono le prove scientifiche - è di questo che stiamo parlando, giusto? - che bollano come "obsoleta" la lettura trifunzionale? E l'"evemerismo" da dove salta fuori? E quali sono i motivi cronologici e ideologici per cui Duby, Niccoli, Grisward (e poi Sergent, Markale, Riviere, Haudry, Le Roux, Guyonvarc'h, ecc... quanti esasperati!) non avrebbero saputo rileggere le fonti?

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  8. Ciao mi aspettavo un tuo intervento. Con "obsolete" mi riferisco alle posizioni evemeristiche, ovvero quelle vedono semplicemente in un mito il meccanico ricordo, o riflesso, chiamiamolo come vogliamo, di un'invasione "storicizzata". Dietro c'è chiaramente un discorso sull'ossessione dell'identità di cui da sempre l'antropologia e consimili paiono soffrire. Ma la questione non si risolve certo qui. Ovviamente non ho la minima volontà di discutere il libro, non avendolo letto. Le mie erano impressioni sulla recensione, che in quanto tale è fatta per stimolare un pensiero; o no? Saluti

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  9. Scusa, Davide. Ti ho refusato per il buon Taglianetti, che bazzica anch'esso da queste parti. Non saettarmi nemmeno tu... :)
    Questa discussione si sta facendo parecchio interessante e in effetti stiamo andando a toccare le basi stesse della teoria trifunzionale. Quanto è valida? Quali sono i suoi limiti? Da questa dipendono, ovviamente, i lavori dei continuatori di Dumézil e buona parte del libro di Scalfari. Ricordo che lo stesso Dumézil asseriva l'impossibilità di trovare schemi trifunzionali fuori dal mondo indoeuropeo, mentre i suoi allievi non hanno fatto che trovare schemi sapienza/guerra/fecondità praticamente dappertutto (un recente articolo di Stefano Giuliano compie addirittura un'analisi trifunzionale del "Signore degli Anelli").
    È ovviamente necessaria una certa cautela. Ricordo che Dumézil non si limitava a mettere insieme dei singoli personaggi, ma delle situazioni piuttosto complesse. Altrimenti sarebbe troppo facile - come suggerisce Meli - vedere Brunilde come personaggio di prima funzione perché conosceva le rune, di seconda perché era una valchiria, di terza perché era stata amante di Sigurðr e Gunnar. Se si entra in un gioco simile non se ne esce più.
    Metti poi la disonestà di quei cosiddetti "studiosi" che forzano i dati a loro disposizione per dimostrare quello che hanno in mente fin dall'inizio, e qui non faccio nomi perché sarebbe fin troppo facile. Ma il lavoro di Scalfari è svolto con grande onestà. Che poi non mi trovi d'accordo con l'ipotesi storicistica o con qualche interpretazione, poco importa. L'importante è stimolare il pensiero e avviare delle belle conversazioni. Come questa. :)

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  10. Io non definirei "evemeristiche" quelle analisi che rintracciano anche in determinati fatti storici le radici di questo o quel mito. Il termine è inappropriato, se l'evemerismo è la dottrina secondo cui gli dèi erano "uomini benemeriti divinizzati" (dizionario Zingarelli). Se si affermasse "Odino era un condottiero militare della cultura Kurgan" si farebbe un'analisi evemeristica della mitologia nordica. Se io dico "le guerre di fondazione rintracciabili nella mitologia celtica, nordica e romana possono essere considerate le trasposizioni mitiche dell'incontro/scontro fra i popoli indoeuropei e la Vecchia Europa neolitica", cerco di trovare un legame fra realtà storica e mito.
    Ma il mito non è SEMPRE il prodotto della realtà storica? O c'è qualcuno che crede ancora nel concetto obsoleto, quello sì, delle "idee innate" da cui, in un modo o nell'altro, tutte le analisi psicoanalitiche e antropologiche derivano? (Dumézil e discepoli sono tutto fuorché antropologi). Questo non significa sostenere che il mito RISPECCHI oggettivamente la realtà storica - il mito e la storia non sono mai neutrali -ma individuarne il legame mprescindibile.

    "I miti non si lasciano comprendere se vengono scissi dalla vita degli uomini che li raccontano. Quantunque chiamati presto o tardi ad una carriera letteraria propria, essi non sono delle invenzioni drammatiche o liriche gratuite, senza rapporto con l’organizzazione sociale o politica, con il rituale, la legge o la consuetudine; il loro ruolo è al contrario di giustificare tutto ciò, di esprimere in immagini le grandi idee che organizzano e sostengono tutto questo."

    (G. Dumézil, dalla prefazione a Mito e epopea, vol. I)

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  11. Personalmente non credo alle idee innate (Jung e compagnia...). Ma non credo neppure che il mito abbia bisogno di una base storica. La memoria di antiche inondazioni non spiega la storia del Diluvio. Laddove un legame vi sia, tra storia e mito, è soltanto occasionale. Si veda come un'insignificante imboscata dei Baschi si sia trasformata nella immaginifica Chanson de Roland. O come San Nicola abbia prodotto, spostandosi dall'assolata Anatolia alla gelida Lapponia, il rennuto Babbo Natale.
    Le esigenze del mito appartengono a un mondo che è poetico, teologico, etnogenetico. Il mito precede la storia, anche se spesso questa se ne impossessa e gli dà nuova forma, come anche suggerisce Scalfari.
    Naturalmente questa è soltanto la mia opinione. ^_^

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