lunedì 26 aprile 2021

Il ritorno dei morti nelle antiche saghe islandesi

  


1. Generalità sui draugar

Il termine antico islandese draugr (plurale draugar, “spettro”, “revenant”)[1] faceva riferimento a quei morti che potevano vagare sulla terra non solo individualmente, ma anche in torme, falangi e cortei, occupando lo stesso spazio dei viventi.[2] Nelle antiche saghe islandesi essi vengono presentati come assassini, ma in origine l’espressione designava un essere che arrecava danno ai viventi.[3] I draugar norreni sono sprovvisti di un’anima e ritornano a tormentare i vivi con il proprio corpo[4] che assume l’aspetto di una salma in putrefazione, «grosso come un bue» (Eyrbyggja saga, lxiii; in Scovazzi 1973; e Grettis Saga, 32; in Grazi 1983), di carnagione blu scuro (Grettis Saga, 32) o comunque scuro, «scuro come l’inferno» (Eyrbyggja saga, lxiii). Il cadavere diventa talmente pesante che gli uomini riescono a trasportarlo a fatica e devono ricorrere all’aiuto di alcuni buoi per trainarlo (Eyrbyggja saga, xxxiv; Grettis Saga, 32); oppure devono usare una stanga per sollevarlo dalla fossa e farlo rotolare fino alla pira (Eyrbyggja saga, lxiii). Nella Grettis Saga, il draugr del pastore Glámr, che perseguita il protagonista Grettir, viene descritto come un mostro di enorme corporatura con il capo orribilmente grande: non assomiglia a un essere umano, ma si tratta di uno spirito impuro dalla forza sovrumana (Grettis Saga, 35).

Le vicende che hanno per protagonisti i revenant iniziano generalmente con lo spavento dovuto alla presenza del draugr che tormenta i viventi, rendendo loro impossibile rimanere nel luogo infestato (Grettis Saga, 33), e terminano con la sua eliminazione fisica, che ristabilisce la tranquillità all’interno della comunità.


Franz Sedlacek, Ghosts on a tree (1933). Wikimedia Commons.
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2. L’ambientazione delle saghe relative ai draugar

A fare da scenario all’azione funesta dei draugar sono l’oscurità totale, il vento ululante e le tormente di neve (Grettis Saga, 32). La paura per la propria incolumità e la convinzione di potersi imbattere in esseri malevoli sono talmente vive che, in tali condizioni di tempo, si rinviano persino le ricerche delle persone scomparse (Grettis Saga, 33).

La comparsa dei draugar è accompagnata da rumori inquietanti: muggiti dalla potenza sovrannaturale, come nel caso del torello nato dalla mucca “fecondata” dallo spettro del contadino Þórólfr mostrarskégg (“Gambastorta”) (Eyrbyggja saga, lxiii), grandi frastuoni (Eyrbyggja saga, li) oppure rumore di oggetti che vanno in frantumi (Eyrbyggja saga, liv). Il draugr del pastore Glámr prende invece l’abitudine di sedersi sul tetto e di battere violentemente i talloni contro di esso, tanto che la casa sembra crollare (Grettis Saga, 32). La paura che consegue tali manifestazioni può essere spiegata dal punto di vista psicologico, ovvero ricollegandola ad allucinazioni oppure a stati alterati provocati da fenomeni acustici e ottici fuori dall’ordinario. Questa sensazione veniva avvertita nelle tempestose notti invernali, in particolare nel periodo di jól durante il quale si attendeva il ritorno dei morti sulla terra.[5]

 

2.1 Jól e la rigenerazione stagionale

Il termine jól, successivamente applicato al Natale (jul in svedese, norvegese e danese, ma anche in finlandese joulu), rappresentava un’importante festività pagana della durata di tredici giorni che poteva arrivare fino ai primi di gennaio (il tredicesimo giorno coincideva con l’epifania cristiana).[6] Jól non veniva festeggiato in una data precisa, ma dopo la conclusione del raccolto cerealicolo che variava da luogo a luogo, in base al clima, anche se potrebbe coincidere con la festa del solstizio d’inverno. Si trattava di una fase di mezzo, di un momento di contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Questo periodo, in cui le ore di luce diurna erano minime, segnava un punto di svolta nel ciclo annuale perché, con l’allungarsi delle giornate in seguito al solstizio, il cammino celeste delle anime verso le dimore divine diveniva più agevole, permettendo quindi al defunto di staccarsi definitivamente da questo mondo con l’ampliarsi dell’arco solare.

Jól non era connesso solamente al culto dei defunti, i cui spiriti svolgevano un ruolo fondamentale nel corso delle tredici notti, ma anche alla fertilità, al fine di assicurare un buon raccolto per l’anno a venire: ne erano simbolo l’ultimo covone e la birra di jól. In occasione della serata di jól, il bestiame riceveva il foraggio tratto da questo covone, si provvedeva a sparpagliare della paglia sul pavimento e su di essa si coricava l’intera famiglia. È interessante menzionare l’usanza diffusa in Norvegia secondo la quale uomini e ragazzi si mascheravano con abiti caratteristici, indossando pelli di animali, corna e code, per rappresentare animali quali cavalli, cani e cervi, oppure, in alternativa, si avvolgevano nella paglia. Così agghindati, questi uomini erano chiamati julbukk o julgeill.[7] Tali cortei mascherati, che rappresentavano il rovesciamento dei canoni tipico del regno dei morti, caratterizzano i periodi festivi che coincidono con l’inizio del nuovo ciclo stagionale. Il travestimento non doveva per forza assumere un aspetto animalesco: semplicemente indossare i propri indumenti quotidiani a rovescio, vestire abiti femminili, tingersi il viso di nero, oppure mettersi il cappuccio, sortiva il medesimo effetto di rottura dei canoni tradizionali[8] e poneva questi uomini in posizione intermedia tra i vivi e i defunti.[9] 

Ci sono due chiavi di lettura di queste usanze: in primo luogo, i cortei possono impersonare demoni della fertilità la cui azione rituale simboleggia la lotta tra i rappresentanti del vecchio e del nuovo anno, al fine di favorire la crescita del mondo animale e vegetale; in secondo luogo, essi possono rievocare le immagini della wilde Jagd (“caccia selvaggia”) oppure del wütendes Heer (la “schiera furiosa”), ovvero spiriti dei defunti che passano per l’atmosfera in un corteo rumoroso.[10]


3. L’eliminazione fisica dei draugar

A perseguitare i vivi era il corpo del defunto e non la sua anima, in quanto già dipartita in occasione della morte. Il tormentare i vivi consentiva al defunto di intraprendere un processo di purificazione al termine del quale sarebbe potuto ascendere alle dimore celesti al momento opportuno, oppure rimanere pacificato sulla terra. Era perciò il corpo fisico del defunto che doveva essere distrutto, indipendentemente dalla tipologia di draugr con cui si aveva a che fare.

Solitamente il cadavere veniva bruciato per permetterne la completa distruzione e le ceneri gettate in mare oppure al vento,[11] come riportato nella Eyrbyggja saga, lxiii:


C’era un vento violento che spargeva in giro, per ampio tratto, la cenere, quando il cadavere cominciò a bruciare; ma le ceneri che riuscirono ad afferrare furono gettate in mare.[12]

Altrimenti le ceneri venivano sepolte lontano dai sentieri percorsi da uomini e animali (Grettis Saga, 35):


[… bruciarono il cadavere di Glámr e lo ridussero in freddi carboni; poi misero le sue ceneri in un sacco di pelle e le seppellirono in un luogo lontano dai pascoli degli animali e dai sentieri degli uomini …].[13]

Altre modalità per impedire a morti particolarmente pericolosi si aggirarsi tra i vivi consistevano nel trafiggere il cadavere con un paletto di frassino, nella loro eliminazione con un colpo d’ascia,[14] oppure nello staccare la testa che veniva collocata contro le natiche (Grettis Saga, 35). Anche se il defunto era innocuo, i suoi alluci venivano ugualmente legati insieme da un filo,[15] oppure si faceva costruire una cassa, fatto inusuale per l’epoca, come descritto nella Eyrbyggja saga, vi, a proposito di Sigríðr, che rimpiangeva la sua giovane vita precocemente stroncata.[16] La preoccupazione maggiore era di convincere il defunto ad abbandonare la comunità dei vivi e a intraprendere il cammino verso Hel. A questo proposito in Scandinavia si ricorreva a svariati metodi per ostacolargli il ritorno, quali, riempire le piante dei piedi di aghi, inchiodare il cadavere alla bara, oppure dotarlo di un paio di scarpe chiamate helskor (le scarpe per raggiungere Hel”) per permettergli di affrontare il lungo cammino verso l’aldilà.[17] Sempre a tale scopo, la salma veniva fatta uscire da un’apposita apertura che veniva subito richiusa per sbarrargli l’eventuale ritorno.[18] 

Altre prove circa la credenza che il morto facesse ritorno sono fornite dai ritrovamenti nelle tombe di macine da mulino, oppure sacchi di pietre che schiacciavano il cadavere.[19]


Laxdæla saga, Guðrún met the ghost. Wikimedia Commons.


4. I danni provocati dai draugar

I draugar tormentavano i vivi in diversi modi, ad esempio togliendo loro il sonno e la ragione, oppure scatenando epidemie. Il defunto ritornava nella propria dimora e tormentava i congiunti che, in seguito a queste apparizioni, potevano perfino morire:


E quando giunse l’inverno, Þórólfr comparve spesso a casa, alla fattoria e inseguiva particolarmente la padrona di casa; anche a diversi uomini accadde questo; ma quella ne divenne quasi pazza. Andò a finire che la padrona di casa morì in seguito a queste visite.[20] (Eyrbyggja Saga, xxxiv).

Grettir il forte, protagonista dell’omonima saga, affrontò un draugr in combattimento ma, quando finalmente riuscì a buttarlo a terra, la luna ne illuminò gli occhi senza pupille. Grettir perse la ragione e, fino alla morte, non riuscì più a rimanere al buio (Grettis Saga, 35). L’esempio menzionato riprende anche la credenza popolare del malocchio, secondo la quale anche il semplice sguardo del morente poteva condurre alla pazzia, mentre quello di un mago perfino alla morte. La prima preoccupazione di Arnkel, figlio del contadino Þórólfr mostrarskégg, era che nessuno dei presenti passasse davanti al defunto prima che i suoi occhi fossero stati chiusi:


Arnkel afferrò Torolf per le spalle, […]; poi avvolse un panno attorno alla testa di Þórólfr e lo ricoprì secondo l’antico costume.[21] (Eyrbyggja Saga, xxxiii)

Non soltanto gli uomini impazzivano al contatto con un draugr, ma anche gli animali impiegati per il trasporto del cadavere. I buoi che trainavano la slitta con il corpo di Þórólfr verso Vaðilshǫfði, luogo in cui sarebbe stato inumato, si infuriano, si liberano dal giogo e, dopo aver ridisceso il pendio, si dirigono verso il mare dove entrambi cominciano a sgroppare, sebbene il cadavere sia così pesante da impedir loro di fuggire (Eyrbyggja saga, xxxiv). Anche gli animali domestici possono essere perseguitati, nonché divenire strumento per portare a termine la vendetta del revenant. Si tratta del caso di Þórólfr mostrarskégg che, dopo essere stato ucciso per la seconda volta, appare sotto le sembianze di toro «color grigio mela» nel luogo in cui è stata eretta la sua pira; feconda, così, una mucca che darà alla luce il torello il quale porterà a termine la vendetta di Þórólfr, uccidendo il suo nemico (Eyrbyggja saga, lxiii).

Anche il semplice contatto con un draugr porta a conseguenze funeste: Þorsteinn Eiríksson, al quale appare lo spettro della defunta moglie del suo omonimo per giacere con lui, muore il giorno stesso (Eiriks saga rauða, vi; in Scovazzi 1973). Da varie fonti scandinave si apprende che la veglia funebre era ritenuta un grande pericolo per chi vi partecipava,[22] in quanto il defunto poteva risvegliarsi per parlare con i congiunti, al fine di «chiarire e migliorare la sua condizione» (Eiriks saga rauða, vi).

I draugar potevano, inoltre, provocare epidemie tra uomini e animali domestici, come descritto nella Eyrbyggja saga: una ciurma affogata durante una tempesta si presenta regolarmente alla propria veglia funebre per scaldarsi attorno al fuoco e, così facendo, scatena una pestilenza. Viene perciò sottoposta a un regolare processo, al termine del quale si rassegna ad abbandonare l’abitazione.


The Norwegians land in Iceland (1877). Wikimedia Commons.


 5. Draugar violenti e draugar innocui

Non tutti i morti sono, tuttavia, destinati a divenire draugar. La aptrganga, l’“andare dopo la morte”, era favorita dall’aver condotto un’esistenza violenta, aver praticato magia oppure essere morti con grandi rimpianti o rimorsi.[23] Si può pertanto dedurre che esistano due tipologie di draugar, ovvero draugar violenti e draugar innocui.

I primi sono la categoria più nota di revenant che perseguita e uccide i viventi, come mostra la vicenda di Þórólfr mostrarskégg: la sua morte venne da subito considerata «una disgrazia» e «tutta la gente era preoccupata» (Eyrbyggja saga, xxxiii), perché temevano il suo ritorno, essendo divenuto «cattivo, superbo e molto attaccabrighe» (Eyrbyggja saga, xxx) con il progredire degli anni.

I draugar innocui sono per lo più spettri di individui non violenti che non volevano separarsi dalla comunità dei viventi, oppure le cui ultime volontà non erano state rispettate. Un esempio aiuterà a chiarire il concetto. Prima di morire, Þórgunna aveva dato disposizione circa l’uso dei suoi beni e prega il contadino Þóroddr di far bruciare il suo «letto e le cortine del letto», aggiungendo: «perché mi spiace che gli uomini abbiano tanti guai per causa mia, guai che si verificherebbero, se le mie disposizioni sopra riferite fossero trasgredite».[24] (Eyrbyggja saga, li) A causa della contadina Þuríðr, fin da principio interessata a mettere le mani sulle belle vesti di Þórgunnanon tutto viene bruciato (Eyrbyggja saga, li). Di conseguenza, la defunta apparirà nella schiera dei draugar durante il periodo di jól provocando danni ed epidemie, fino a quando tutti «i panni del letto di Þórgunna» saranno stati bruciati (Eyrbyggja saga, liv). Ella appare anche in un’altra occasione, sempre in segno di protesta, ovvero quando un contadino nega l’ospitalità al suo corteo funebre: non volendo lasciare i suoi accompagnatori a digiuno, Þórgunna si leva dal feretro e si mette a cucinare. Tornerà a sdraiarsi solo quando il contadino porrà rimedio alle usanze funebri violante (Eyrbyggja saga, li). Lo spettro di Þorsteinn Eiríksson può essere, invece, definito draugr “malinconico”, in quanto si presenta alla moglie rassegnato e in lacrime: egli riflette sugli aspetti negativi della nuova religione introdotta in Islanda e le prevede il futuro, senza tuttavia usare violenza (Eiriks saga rauða, vi). Anche i draugar innocui costituiscono una presenza estranea alla comunità dei vivi e, come tale, in grado di scatenare epidemie (Eyrbyggja saga, liv). Anch’essi devono quindi essere eliminati con gli stessi metodi adoperati per i draugar violenti, ovvero inferendo loro «un colpo d’ascia al petto» (Eiriks saga rauða, vi). Nella Eyrbyggja saga, lv, compaiono entrambe le tipologie ed è pertanto chiaro come siano ugualmente dannose per l’uomo. Ne è una prova l’accusa che viene mossa loro di aver «privato gli uomini della vita e della salute».

Nelle antiche saghe islandesi si allude al fatto che i draugar siano creature malevole scaturite dalla mente impaurita dell’uomo, in particolare durante i gelidi e bui mesi autunnali e invernali. Vengono presentati talvolta come allucinazioni e, come tali, nella Grettis Saga si afferma che chi soffre di questo disturbo abbia la visione di Glámr, oppure che Glámr gli abbia prestato i suoi occhi (Grettis Saga, 35):


[... aveva un tale timore delle tenebre che non aveva il coraggio di andare da solo in nessun posto quando faceva buio, poiché gli sembrava di vedere ogni genere di fantasmi e da quel momento si è soliti dire di quelli che vedono le cose diverse da come sono, che Glámr ha prestato loro gli occhi o che dà loro delle allucinazioni.[25]

 

 



[1] De Vries 2000, s.v. “draugr”.

[2] Barillari 1998, pp. 15-16.

[3] De Vries 1970, vol. ii, p. 231.

[4] Barillari 1998, p. 31.

[5] De Vries 1970, vol. ii, p. 231

[6] Mura 2014, p. 87-88.

[7] De Vries 1970, vol. ii, pp. 448-451.

[8] Barillari 1998, pp. 13-14.

[9] Meli 2000, p. 105.

[10] De Vries 1970, vol. ii, pp. 449, 452-453.

[11] Ivi, p. 232.

[12] Scovazzi 1973, p. 110.

[13] Grazi 1983, p. 272.

[14] Barillari 1998, pp. 32-33.

[15] De Vries 1970, vol ii, p. 232.

[16] Barillari 1998, p. 32.

[17] Ivi, p. 34.

[18] De Vries 1970, vol. ii, p. 193; vedi anche Eyrbyggja Saga, xxxiii.

[19] Barillari 1998, p. 34.

[20] Scovazzi 1973, p. 60.

[21] Ivi, p. 59.

[22] Barillari 1998, p. 32.

[23] Ivi, p. 32.

[24] Scovazzi 1973, p. 91.

[25] Grazi 1983, p. 273.



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Barillari 1998. Sonia Maria Barillari, Immagini dell’Aldilà, Meltemi, Roma.

De Vries 1970. Jan De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte, 2 voll., De Gruyter, Berlin (1a ed. 1956).

De Vries 2000. Jan De Vries, Altnordischen etymologisches Wörterbuch, Brill, Leiden (1a ed. 1977).

Grazi 1983. La saga di Grettir, a cura di Vittoria Grazi, Le saghe, 1, Istituto Universitario Orientale, Napoli.

Meli 2000. Marcello Meli, L’ arlecchino boreale, in L’immagine riflessa. Testi, società, culture. Masca, maschera, masque, mask. Testi e iconografia nelle culture medievali, IX (1-2), pp. 75-107, Edizioni dell’Orso, Alessandria.

Mura 2014. Paola Mura, Gli zombie vengono dal nord, in Denis Brotto, Alessia Castellani, Luciano De Giusti, Lo stato delle cose. Cinema e altre derive, Duemila13, I, pp. 83-90, Cleup, Padova

Scovazzi 1973. Marco Scovazzi, Antiche Saghe Islandesi, Einaudi Editore, Torino.

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