mercoledì 19 dicembre 2012

Oceano e Teti hanno divorziato


Può sembrare un gossip, anche se affonda le sue radici nella più remota antichità del mito greco. Ma che il ménage matrimoniale di Ōkeanós e Tēthýs fosse un po' traballante, ce lo dice addirittura Hómēros – e non siamo su Novella 2000, ma all'alba della letteratura occidentale – in un passo piuttosto noto dell'Ilías, dove la dea Hḗra così annuncia, mentendo:
Io vado a vedere i confini della terra feconda,
a Ōkeanós, origine degli dèi, e a madre Tēthýs,
che nelle loro case mi nutrirono e crebbero,
affidata da Rheía nei giorni che Zeús vasta voce
scoscese Krónos sotto la terra e il mare infecondo.
Loro vado a trovare, ché scioglierò un dissidio infinito:
ché ormai d'amore e di letto sono divisi da tempo,
ché avvampano d'ira nel seno.
Ilías [XIV: 200-207]

Questo passo è stato studiato in ogni minimo dettaglio, se non altro perché sembra implicare un mito della creazione distinto da quello di Hēsíodos, onde per cui si parla di «mito omerico della creazione». Qui, i progenitori degli dèi non sono Ouranós e Gaîa come in Hēsíodos, ma Ōkeanós e Tēthýs. Il primo viene chiamato a più riprese «origine degli dèi» [theôn génesis], la seconda loro «madre» [mētér]. Nel mito greco, Ōkeanós è il fiume di acqua salata che circonda il mondo, segnando il confine estremo dell'universo. Tēthýs è anch'essa una dea elementare, le cui acque sono confuse e mescolate con quelle di Ōkeanós. I due, uniti in un connubio indissolubile, sono all'origine di tutti i liquidi terrestri e sotterranei. Ogni fiume, lago, mare e sorgente trae le sue acque da quelle abissali e cosmiche di Ōkeanós Tēthýs.

Come già evidenziato da molti studiosi, quest'idea di una creazione originata dalle acque sembra provenire in realtà dal Medio Oriente e dalla Mesopotamia, dove l'universo primordiale era concepito come un profondo abisso acqueo. Nella tradizione babilonese, esemplificata dalla grandiosa cosmogonia dell'Enûma elîš (XVIII-XVI sec. a.C.), alle origini di tutto vi erano due entità liquide: Apsû, il principio maschile, l'abisso delle acque sotterranee; e Tiâmat il principio femminile, le salate profondità del mare. Considerati insieme materie acquee, principi cosmologici e personalità divine, Apsû Tiâmat esordiscono sulla scena cosmogonica, non soltanto accoppiati, ma mescolati e confusi insieme.
Quando lassù il cielo non aveva ancora nome
e quaggiù la terra non aveva ancora nome,
soli, Apsû, di tutti il progenitore
e la loro madre Tiâmat, di tutti la progenitrice,
mescolavano insieme le loro acque.
Enûma elîš [I: 1-5]

Mescolati in una massa liquida indifferenziata, Apsû Tiâmat sono all'origine di tutte le successive generazioni divine, benché l'intera teogonia si svolga interamente all'interno dell'abisso liquido da essi costituito.

Ma Apsû derivava, almeno etimologicamente, dall'Abzu sumerico, nome che gli antichi abitanti della Mesopotamia davano all'abisso liquido che sosteneva e circondava la terra, serbatoio cosmico che alimentava tutti i fiumi, i mari e le acque sotterranee. Da un punto di vista prettamente cosmologico, l'Abzu sumerico è identico a Ōkeanós, e peraltro assolve la stessa funzione in alcuni episodi mitologici (trasporta la barca del dio-sole nel suo viaggio notturno; viene attraversato da Gilgameš in circostanze omologhe a quelle di Hēraklês, etc.). Val la pena di notare che una delle possibili etimologie del nome Ōkeanós lo fa risalire a un accadico uginna, «anello», evidenziando la sua funzione di fiume che circonda il mondo. Ma l'Abzu sumerico, privo di una propria personalità, rimane fissato in una pura concezione cosmologica. È solo nella tradizione accadica che Apsû diviene una persona. 

Se l'origine di Abzu/Apsû risale ai Sumeri, Tiâmat appartiene, almeno in via etimologica, al mondo semitico. Il suo nome ricompare in ugaritico nella forma tahāmu e in ebraico nella forma tǝhôm, entrambi con il significato di «abisso», sebbene visto in forma impersonale. Un buon esempio viene fornito nel secondo versetto della Genesi:
La terra era informe e vuota e le tenebre erano sulla superficie dell'abisso...
Bǝrēʾšît [1, 2]

L'ugaritico Tahāmu, l'ebraico Ṯəhôm e l'accadico Tiâmat sono termine corradicali: derivano da una radice semitica THM, che indica il «mare» (cfr. accadico tiamtu/tâmtu «mare»), ma più esattamente  l'abisso delle acque primordiali che precede la creazione. Il termine veniva avvicinato già nell'antichità alla parola greca thálassa «mare». Gli studiosi sono convinti che il gruppo Tahāmu/ǝhôm/Tiâmat si possa mettere in relazione con il nome di Tēthýs. È dunque perfettamente possibile che, alla base di Ōkeanós e Tēthýs, padre e madre degli dèi, vi sia un mito medio-orientale su un caos primordiale acqueo, peraltro posto in doppia configurazione di un elemento liquido maschile e uno femminile (come Apsû e Tiâmat).

Ma a rendere ancora più stretta la relazione tra mito mesopotamico e greco, vi sono anche alcune considerazioni formali. Ad esempio, due versi del poema accadico, «Apsû, di tutti il progenitore, e la loro madre Tiâmat, di tutti la generatrice» [Apsû-ma rêštû zârûšun mummu Tiâmat mu(w)allidat gimrišun] (Enûma elîš [I: 3-4]), mostrano un perfetto parallelismo con il verso omerico: «a Ōkeanós, origine degli dèi, e a madre Tēthýs [Ōkeanón te theôn génesin kaì mētéra Tēthýn], la cui natura formulare è confermata dalla sua ripetizione (Iliás [XIV: 201 | 302]).

Ma avevamo promesso di non fare del facile pettegolezzo e di scoprire, piuttosto, per quale ragione Ōkeanós Tēthýs si fossero separati, tantopiù che li avevamo presentati come mescolati insieme e praticamente inseparabili.

Hómēros non riferisce le ragioni del loro litigio. Sembra ovvio che, chiusa la fase cosmogonica, Ōkeanós e Tēthýs abbiano esaurito il loro ruolo generativo, e il loro dissidio giustifichi mitologicamente la fine dell'attività creativa. Ci chiediamo tuttavia se il tema del divorzio non sia ancora più antico e se non abbia un significato più profondo.

Ritorniamo ancora una volta ai miti semitici. Nel proseguo della narrazione, l'Enûma elîš narra di come Apsû e Tiâmat abbiano tentato di eliminare le divinità più giovani, nate nell'abisso liquido costituito dal loro stesso essere, al fine di ricondurre l'universo alla quiete e alla staticità primordiali. Ma gli dèi si ribellarono ed Ea uccise dapprima Apsû, trasformandolo da persona a luogo, tant'è vero che subito vi pose la propria dimora (il dio Ea risiede tradizionalmente  nelle acque cosmiche sotterranee). Sconfiggere Tiâmat non fu altrettanto facile, e solo Marduk vi riuscì, alla fine di una strenua lotta che è l'argomento del poema. Vincitore dello scontro, e nuovo signore dell'universo, Marduk divise in due parti il corpo di Tiâmat, come un pesce da seccare: una metà la spinse in alto, per costruire il cielo; l'altra la spinse in basso, edificando la terra.

Il mito è omologo a quello ebraico dove Yəhwāh lōhîm separa il tǝhôm in due parti, creando lo spazio per la successiva creazione, e tra le due masse d'acqua interpone l'intero cielo stellato:
Ed lōhîm disse: «Ci sia un firmamento in mezzo alle acque che divida le acque dalle acque».
Ed lōhîm fece il firmamento, separando le acque che sono sotto il firmamento e le acque che sono sopra il firmamento.La terra era informe e vuota e le tenebre erano sulla superficie dell'abisso...
Bǝrēʾšît [1, 6-7]

Le acque sotto il firmamento, vengono quindi sospinte ai confini del mondo in modo da fare emergere la terra, tracciando una configurazione cosmologica assai simile alla nozione mesopotamica di Abzu/Apsû. Si noti che la parola è stata ereditata in ebraico nel concetto, ancora una volta impersonale, di asayîm o asê ereṣ, «confini della terra» (cfr. aryā [9: 10]). Un perfetto omologo orientale del nostro Ōkeanós.

I vari esiti semitici ci permettono di ricostruire, seppure con molta prudenza, un antico mito cosmogonico in cui l'universo primordiale è costituito da una massa acquea in doppia configurazione, maschile e femminile. In questo abisso liquido nascono le divinità, che poi provvedono a separare i loro genitori. Le acque femminili vengono spinte in cielo, per formare la volta delle acque superiori, quelle che, secondo la cosmologia semitica, «sono sopra il firmamento» e si rivelano attraverso la pioggia; le acque maschili vengono invece respinte ai confini della terra, dove formano l'oceano esterno che circonda il mondo.

Il «divorzio» di Ōkeanós e Tēthýs sembra riecheggiare la divisione delle acque primordiali presente nei miti semitici. In Grecia, perduto il senso del racconto, tale divisione si è trasformata in un litigio che tiene i due coniugi separati l'uno dall'altra; ma in origine, quella separazione doveva avere un significato cosmogonico e cosmologico. Hómēros non ci fornisce dunque un gossip ma un semplice pettegolezzo.

Gli elementi medio-orientali nel mito greco sono assai più forti di quello che sembrano, come cercheremo di dimostrare nei prossimi lavori...

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