1. Generalità
sui draugar
Il
termine antico islandese draugr (plurale draugar, “spettro”, “revenant”) faceva riferimento a quei
morti che potevano vagare sulla terra non solo individualmente, ma anche in
torme, falangi e cortei, occupando lo stesso spazio dei viventi. Nelle antiche saghe
islandesi essi vengono presentati come assassini, ma in origine l’espressione
designava un essere che arrecava danno ai viventi. I draugar norreni
sono sprovvisti di un’anima e ritornano a tormentare i vivi con il proprio
corpo che assume l’aspetto di
una salma in putrefazione, «grosso come un bue» (Eyrbyggja saga, lxiii; in
Scovazzi 1973; e Grettis Saga, 32; in Grazi 1983), di
carnagione blu scuro (Grettis Saga, 32) o comunque scuro, «scuro come
l’inferno» (Eyrbyggja saga, lxiii).
Il cadavere diventa talmente pesante che gli uomini riescono a trasportarlo a
fatica e devono ricorrere all’aiuto di alcuni buoi per trainarlo (Eyrbyggja saga,
xxxiv; Grettis Saga, 32); oppure devono usare una stanga per sollevarlo dalla fossa e farlo
rotolare fino alla pira (Eyrbyggja saga, lxiii).
Nella Grettis Saga, il draugr del pastore Glámr, che perseguita il protagonista Grettir, viene descritto come un mostro di enorme corporatura con il
capo orribilmente grande: non assomiglia a un essere
umano, ma si tratta di uno spirito impuro dalla forza sovrumana (Grettis
Saga, 35).
Le
vicende che hanno per protagonisti i revenant iniziano generalmente con
lo spavento dovuto alla presenza del draugr che tormenta i viventi,
rendendo loro impossibile rimanere nel luogo infestato (Grettis Saga,
33), e terminano con la sua eliminazione fisica, che ristabilisce la tranquillità
all’interno della comunità.
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Franz Sedlacek, Ghosts on a tree (1933). Wikimedia Commons. |
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2. L’ambientazione
delle saghe relative ai draugar
A
fare da scenario all’azione funesta dei draugar sono l’oscurità totale,
il vento ululante e le tormente di neve (Grettis Saga, 32). La paura per
la propria incolumità e la convinzione di potersi imbattere in esseri malevoli sono talmente vive che, in tali condizioni di tempo, si rinviano persino le ricerche delle persone scomparse (Grettis Saga, 33).
La
comparsa dei draugar è accompagnata da rumori inquietanti: muggiti dalla potenza sovrannaturale, come nel caso del torello nato
dalla mucca “fecondata” dallo spettro del contadino Þórólfr mostrarskégg (“Gambastorta”) (Eyrbyggja
saga, lxiii), grandi frastuoni
(Eyrbyggja saga, li) oppure
rumore di oggetti che vanno in frantumi (Eyrbyggja saga, liv). Il draugr del pastore Glámr prende invece l’abitudine
di sedersi sul tetto e di battere violentemente i talloni contro di esso, tanto
che la casa sembra crollare (Grettis Saga, 32). La paura che consegue
tali manifestazioni può essere spiegata dal punto di vista psicologico, ovvero
ricollegandola ad allucinazioni oppure a stati alterati provocati da fenomeni
acustici e ottici fuori dall’ordinario. Questa sensazione veniva avvertita
nelle tempestose notti invernali, in particolare nel periodo di jól durante il quale si attendeva il ritorno dei morti sulla
terra.
2.1 Jól e la rigenerazione stagionale
Il
termine jól, successivamente
applicato al Natale (jul in svedese, norvegese e danese, ma anche in
finlandese joulu), rappresentava un’importante festività pagana della
durata di tredici giorni che poteva arrivare fino ai primi di gennaio (il
tredicesimo giorno coincideva con l’epifania cristiana). Jól non veniva festeggiato in una data precisa, ma dopo la
conclusione del raccolto cerealicolo che variava da luogo a luogo, in base al
clima, anche se potrebbe coincidere con la festa del solstizio d’inverno. Si
trattava di una fase di mezzo, di un momento di contatto tra il mondo dei vivi
e quello dei morti. Questo periodo, in cui le ore di luce diurna erano minime, segnava
un punto di svolta nel ciclo annuale perché, con l’allungarsi delle giornate in
seguito al solstizio, il cammino celeste delle anime verso le dimore divine
diveniva più agevole, permettendo quindi al defunto di staccarsi
definitivamente da questo mondo con l’ampliarsi dell’arco solare.
Jól non era connesso
solamente al culto dei defunti, i cui spiriti svolgevano un ruolo fondamentale
nel corso delle tredici notti, ma anche alla fertilità, al fine di assicurare
un buon raccolto per l’anno a venire: ne erano simbolo l’ultimo covone e la
birra di jól. In occasione della
serata di jól, il bestiame riceveva il foraggio tratto da questo covone,
si provvedeva a sparpagliare della paglia sul pavimento e su di essa si
coricava l’intera famiglia. È interessante menzionare l’usanza diffusa in
Norvegia secondo la quale uomini e ragazzi si mascheravano con abiti
caratteristici, indossando pelli di animali, corna e code, per rappresentare animali quali cavalli, cani e cervi, oppure, in alternativa, si
avvolgevano nella paglia. Così agghindati, questi uomini erano chiamati julbukk
o julgeill.
Tali cortei mascherati, che rappresentavano il rovesciamento dei canoni tipico
del regno dei morti, caratterizzano i periodi festivi che coincidono con
l’inizio del nuovo ciclo stagionale. Il travestimento non doveva per forza assumere un aspetto animalesco: semplicemente indossare i propri indumenti
quotidiani a rovescio, vestire abiti femminili, tingersi il viso di nero, oppure
mettersi il cappuccio, sortiva il medesimo effetto di rottura dei canoni
tradizionali
e poneva questi uomini in posizione intermedia tra i vivi e i defunti.
Ci
sono due chiavi di lettura di queste usanze: in primo luogo, i cortei possono
impersonare demoni della fertilità la cui azione rituale simboleggia la lotta
tra i rappresentanti del vecchio e del nuovo anno, al fine di favorire la
crescita del mondo animale e vegetale; in secondo luogo, essi possono rievocare
le immagini della wilde Jagd (“caccia selvaggia”) oppure del wütendes
Heer (la “schiera furiosa”), ovvero spiriti dei defunti che passano per
l’atmosfera in un corteo rumoroso.
3. L’eliminazione
fisica dei draugar
A
perseguitare i vivi era il corpo del defunto e non la sua anima, in quanto già
dipartita in occasione della morte. Il tormentare i vivi
consentiva al defunto di intraprendere un processo di purificazione al termine
del quale sarebbe potuto ascendere alle dimore celesti al momento opportuno,
oppure rimanere pacificato sulla terra. Era perciò il corpo fisico del defunto che doveva
essere distrutto, indipendentemente dalla tipologia di draugr con cui si
aveva a che fare.
Solitamente
il cadavere veniva bruciato per permetterne la completa distruzione e le ceneri
gettate in mare oppure al vento, come riportato nella Eyrbyggja
saga, lxiii:
C’era un vento
violento che spargeva in giro, per ampio tratto, la cenere, quando il cadavere
cominciò a bruciare; ma le ceneri che riuscirono ad afferrare furono gettate in
mare.
Altrimenti
le ceneri venivano sepolte lontano dai sentieri percorsi da uomini e animali (Grettis
Saga, 35):
[… bruciarono il
cadavere di Glámr e lo ridussero in freddi carboni; poi misero le
sue ceneri in un sacco di pelle e le seppellirono in un luogo lontano dai
pascoli degli animali e dai sentieri degli uomini …].
Altre
modalità per impedire a morti particolarmente pericolosi si aggirarsi tra i
vivi consistevano nel trafiggere il cadavere con un paletto di frassino, nella
loro eliminazione con un colpo d’ascia, oppure nello staccare la
testa che veniva collocata contro le natiche (Grettis Saga, 35). Anche
se il defunto era innocuo, i suoi alluci venivano ugualmente legati insieme da
un filo,
oppure si faceva costruire una cassa, fatto inusuale per l’epoca, come
descritto nella Eyrbyggja saga, vi,
a proposito di Sigríðr, che rimpiangeva la sua giovane
vita precocemente stroncata. La preoccupazione
maggiore era di convincere il defunto ad abbandonare la comunità dei vivi e a
intraprendere il cammino verso Hel. A questo proposito in Scandinavia si
ricorreva a svariati metodi per ostacolargli il ritorno, quali, riempire le
piante dei piedi di aghi, inchiodare il cadavere alla bara, oppure dotarlo di un
paio di scarpe chiamate helskor (le “scarpe per raggiungere Hel”) per
permettergli di affrontare il lungo cammino verso l’aldilà. Sempre a tale scopo, la
salma veniva fatta uscire da un’apposita apertura che veniva subito richiusa
per sbarrargli l’eventuale ritorno.
Altre prove circa la
credenza che il morto facesse ritorno sono fornite dai ritrovamenti nelle tombe
di macine da mulino, oppure sacchi di pietre che schiacciavano il cadavere.
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Laxdæla saga, Guðrún met the ghost. Wikimedia Commons. |
4. I
danni provocati dai draugar
I draugar
tormentavano i vivi in diversi modi, ad esempio togliendo loro il sonno e la
ragione, oppure scatenando epidemie. Il defunto ritornava nella propria dimora
e tormentava i congiunti che, in seguito a queste apparizioni, potevano perfino
morire:
E quando giunse
l’inverno, Þórólfr comparve spesso a casa, alla fattoria e inseguiva
particolarmente la padrona di casa; anche a diversi uomini accadde questo; ma
quella ne divenne quasi pazza. Andò a finire che la padrona di casa morì in
seguito a queste visite. (Eyrbyggja Saga, xxxiv).
Grettir
il forte, protagonista dell’omonima saga, affrontò un draugr in combattimento ma,
quando finalmente riuscì a buttarlo a terra, la luna ne illuminò gli occhi
senza pupille. Grettir perse la ragione e, fino alla
morte, non riuscì più a rimanere al buio (Grettis Saga, 35). L’esempio
menzionato riprende anche la credenza popolare del malocchio, secondo la quale
anche il semplice sguardo del morente poteva condurre alla pazzia, mentre
quello di un mago perfino alla morte. La prima preoccupazione di Arnkel, figlio
del contadino Þórólfr mostrarskégg, era che nessuno dei presenti
passasse davanti al defunto prima che i suoi occhi fossero stati chiusi:
Arnkel afferrò
Torolf per le spalle, […]; poi avvolse un panno attorno alla testa di Þórólfr e
lo ricoprì secondo l’antico costume. (Eyrbyggja Saga, xxxiii)
Non
soltanto gli uomini impazzivano al contatto con un draugr, ma anche gli
animali impiegati per il trasporto del cadavere. I buoi che trainavano la
slitta con il corpo di Þórólfr verso Vaðilshǫfði, luogo in cui
sarebbe stato inumato, si infuriano, si liberano dal giogo e, dopo aver
ridisceso il pendio, si dirigono verso il mare dove entrambi cominciano a sgroppare, sebbene il cadavere sia così pesante da impedir loro di fuggire (Eyrbyggja
saga, xxxiv). Anche gli
animali domestici possono essere perseguitati, nonché divenire strumento per
portare a termine la vendetta del revenant. Si tratta del caso di Þórólfr mostrarskégg che, dopo essere stato ucciso per la seconda volta, appare sotto
le sembianze di toro «color grigio mela» nel luogo in cui è stata eretta la sua
pira; feconda, così, una mucca che darà alla luce il torello il quale porterà a
termine la vendetta di Þórólfr, uccidendo il suo nemico (Eyrbyggja saga, lxiii).
Anche il semplice
contatto con un draugr porta a conseguenze funeste: Þorsteinn Eiríksson,
al quale appare lo spettro della defunta moglie del suo omonimo per giacere con
lui, muore il giorno stesso (Eiriks saga rauða, vi; in Scovazzi 1973). Da varie
fonti scandinave si apprende che la veglia funebre era ritenuta un grande
pericolo per chi vi partecipava, in quanto il defunto
poteva risvegliarsi per parlare con i congiunti, al fine di «chiarire e
migliorare la sua condizione» (Eiriks saga rauða, vi).
I draugar
potevano, inoltre, provocare epidemie tra uomini e animali domestici, come
descritto nella Eyrbyggja saga: una ciurma affogata durante una tempesta
si presenta regolarmente alla propria veglia funebre per scaldarsi attorno al
fuoco e, così facendo, scatena una pestilenza. Viene perciò sottoposta a un
regolare processo, al termine del quale si rassegna ad abbandonare
l’abitazione.
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The Norwegians land in Iceland (1877). Wikimedia Commons. |
5. Draugar violenti e draugar innocui
Non
tutti i morti sono, tuttavia, destinati a divenire draugar. La aptrganga, l’“andare dopo la morte”, era favorita dall’aver condotto un’esistenza
violenta, aver praticato magia oppure essere morti con grandi rimpianti o
rimorsi.
Si può pertanto dedurre che esistano due tipologie di draugar, ovvero draugar
violenti e draugar innocui.
I
primi sono la categoria più nota di revenant che perseguita e uccide i
viventi, come mostra la vicenda di Þórólfr mostrarskégg: la sua morte venne da
subito considerata «una disgrazia» e «tutta la gente era preoccupata» (Eyrbyggja
saga, xxxiii), perché temevano
il suo ritorno, essendo divenuto «cattivo, superbo e molto attaccabrighe» (Eyrbyggja
saga, xxx) con il progredire
degli anni.
I draugar
innocui sono per lo più spettri di individui non violenti che non volevano
separarsi dalla comunità dei viventi, oppure le cui ultime volontà non erano
state rispettate. Un esempio aiuterà a chiarire il concetto. Prima di morire, Þórgunna aveva dato disposizione circa l’uso dei suoi beni e prega il contadino Þóroddr di far bruciare il suo «letto e le cortine del letto», aggiungendo: «perché mi spiace che gli uomini abbiano tanti guai per causa mia, guai che si
verificherebbero, se le mie disposizioni sopra riferite fossero trasgredite». (Eyrbyggja saga, li) A causa della contadina Þuríðr, fin
da principio interessata a mettere le mani sulle belle vesti di Þórgunna, non
tutto viene bruciato (Eyrbyggja saga, li).
Di conseguenza, la defunta apparirà nella schiera dei draugar durante il
periodo di jól provocando danni ed epidemie, fino a quando tutti «i panni del letto
di Þórgunna» saranno stati bruciati (Eyrbyggja saga, liv). Ella appare anche in un’altra
occasione, sempre in segno di protesta, ovvero quando un contadino nega
l’ospitalità al suo corteo funebre: non volendo lasciare i suoi accompagnatori
a digiuno, Þórgunna si leva dal feretro e si mette a cucinare. Tornerà a
sdraiarsi solo quando il contadino porrà rimedio alle usanze funebri violante (Eyrbyggja
saga, li). Lo spettro di Þorsteinn Eiríksson può essere, invece, definito draugr “malinconico”, in
quanto si presenta alla moglie rassegnato e in lacrime: egli riflette sugli
aspetti negativi della nuova religione introdotta in Islanda e le prevede il
futuro, senza tuttavia usare violenza (Eiriks saga rauða, vi). Anche i draugar innocui
costituiscono una presenza estranea alla comunità dei vivi e, come tale, in
grado di scatenare epidemie (Eyrbyggja saga, liv). Anch’essi devono quindi essere eliminati con gli
stessi metodi adoperati per i draugar violenti, ovvero inferendo loro
«un colpo d’ascia al petto» (Eiriks saga rauða, vi). Nella Eyrbyggja saga, lv, compaiono entrambe le tipologie ed è pertanto chiaro
come siano ugualmente dannose per l’uomo. Ne è una prova l’accusa che viene
mossa loro di aver «privato gli uomini della vita e della salute».
Nelle
antiche saghe islandesi si allude al fatto che i draugar siano creature
malevole scaturite dalla mente impaurita dell’uomo, in particolare durante i
gelidi e bui mesi autunnali e invernali. Vengono presentati talvolta come
allucinazioni e, come tali, nella Grettis Saga si afferma che chi soffre
di questo disturbo abbia la visione di Glámr, oppure
che Glámr gli abbia prestato i suoi occhi (Grettis Saga, 35):
[... aveva un tale timore delle tenebre che non aveva il coraggio di andare
da solo in nessun posto quando faceva buio, poiché gli sembrava di vedere ogni
genere di fantasmi e da quel momento si è soliti dire di quelli che vedono le
cose diverse da come sono, che Glámr ha prestato loro gli occhi o che dà loro delle
allucinazioni.