Recensione del libro Sejd. Textstudier i nordisk religionshistoria, di Dag Strömbäck (Stockholm 1935). Di Luca Taglianetti.
Nel primo capitolo, che copre metà del libro, Dag Strömbäck riporta tutte le saghe, le strofe eddiche, i racconti brevi in cui appare il termine seiðr (e affini) nella letteratura norrena. A un lettore moderno potrebbe sembrare un semplice lavoro di «trova» e «copia e incolla», ma voglio ricordare che questo saggio è stato pubblicato nel 1935, quando non esistevano i supporti tecnologici che abbiamo oggi: l'autore ha compiuto è in realtà un lungo e importante lavoro di ricerca attraverso le edizioni e i manoscritti delle varie fonti, e discute inoltre la datazione e la possibile origine del materiale.
Il secondo capitolo affronta i termini specifici che riguardano il seiðr. Il primo interessante dettaglio è che, stando a diverse fonti, il seiðr veniva condotto su un seiðhjallr. Alcuni studiosi hanno inteso che la vǫlva, o veggente, sedeva su una sedia o su un trono rialzato; in realtà, come si evince anche dall'uso dialettale in norvegese e svedese del termine hjall, si tratta di un luogo più grande e ampio, una specie di scranno e non una mera seduta comune. Qual era la funzione di questo luogo elevato? Axel Olrik ha cercato di intendere che la vǫlva doveva trovarsi in un luogo sopraelevato per staccarsi dalla realtà terrena ed entrare più facilmente in contatto col mondo degli spiriti; Jacob Grimm invece accomuna lo hjallr al treppiedi dell’oracolo delfico. Strömbäck rigetta queste due tesi rifacendosi ad alcune descrizioni delle pratiche sciamaniche nel nord della Russia e nella Siberia nord-occidentale riportati in scritti del sedicesimo secolo, in cui si evince che lo hjallr serviva semplicemente a evitare che la vǫlva, durante l’estasi, fosse interrotta o ostacolata da persone esterne (lo sciamano non poteva essere svegliato all'improvviso, pena la morte di quest’ultimo), e che quindi questo palco fornisse un luogo sicuro per la pratica magica.
Un altro termine che ricorre spesso è varðlok(k)ur (una specie di canto magico). Qual è il suo reale significato? Il termine varð si ritrova in alcuni dialetti svedesi e norvegesi col significato di «guardiano», inteso come spirito protettore della casa; in passato però il termine connotava semplicemente uno spirito libero dal fardello corporeo. Invece il termine lokkur è stato erroneamente interpretato da Olsen come sostantivo del verbo lúka «chiudere», cosicché interpretava varðlok(k)ur come «[colui che] chiude/serra le anime», intendendo l'idea di un canto che incatenava gli spiriti nel nostro mondo, permettendo alla vǫlva di interrogarli. In realtà lokkur deriva dal verbo lokka «allettare, far avvicinare, richiamare», e sembrerebbe sottolineare il carattere evocativo ed esorcizzante del canto.
La lettura del termine che però dà Strömbäck è un’altra. Seguendo sempre esempi e descrizioni dello sciamanesimo lappone, attestati nella zona intorno Archangel'sk, nel nord della Russia, l’autore sottolinea come lo sciamano, una volta entrato in estasi, potesse essere risvegliato solo da una giovane fanciulla (tema che ritorna anche nelle saghe nordiche) attraverso una serie di canti di carattere magico/sacrale. La conclusione a cui giunge l’autore è che il varðlokkur serviva a richiamare l’anima dello sciamano, nel corso del suo viaggio estatico, al proprio corpo!
La lettura del termine che però dà Strömbäck è un’altra. Seguendo sempre esempi e descrizioni dello sciamanesimo lappone, attestati nella zona intorno Archangel'sk, nel nord della Russia, l’autore sottolinea come lo sciamano, una volta entrato in estasi, potesse essere risvegliato solo da una giovane fanciulla (tema che ritorna anche nelle saghe nordiche) attraverso una serie di canti di carattere magico/sacrale. La conclusione a cui giunge l’autore è che il varðlokkur serviva a richiamare l’anima dello sciamano, nel corso del suo viaggio estatico, al proprio corpo!
Nel terzo capitolo Strömbäck distingue un seiðr «bianco», in cui la vǫlva prediceva il futuro alle persone e veniva anche ricompensata per questo, e un seiðr «nero» che serviva a colpire e persino uccidere i nemici. Nel quarto capitolo si affronta la tematica degli hamhleypur, le persone che riuscivano a cambiare forma corporea. Secondo l’autore questa pratica era appunto possibile attraverso il seiðr, e proprio questa caratteristica spiegherebbe i molti luoghi oscuri della strofa 155 dell'Hávámal (a cui l’autore dedica il resto del paragrafo):
Questo conosco per decimo,
se io vedo «cavalcatrici dei recinti»
giocare nell'aria,
io posso fare in modo
che esse smarriscano il ritorno
ai loro corpi a casa,
ai loro spiriti a casa.
Hávámal [155]
Il capitolo conclusivo tira un po' le somme dello studio, riportando le fonti norrene dove vengono citati i «finni» (comunemente creduti come stregoni che praticavano il seiðr), e Strömbäck dà una sua possibile interpretazione del perché. Nelle fonti norrene, chi praticava il seiðr veniva bollato come ergi «invertito, omosessuale». Secondo Strömbäck si deve all'influenza delle pratiche sciamane asiatiche: infatti, nei documenti che ci sono pervenuti, spesso si dice che lo stregone si vestiva da donna, o indossava monili femminili, e molti canti erano di carattere licenzioso e volgare.
Dag Strömbäck (1900-1978) è stato storico delle religioni e studioso di cultura popolare scandinava presso l'Università di Uppsala. Il suo studio dei testi del medioevo nordico utilizza una combinazione tra analisi filologica e folklorica.
Luca Taglianetti
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