Accade con una certa frequenza a chi traduce testi antichi di imbattersi in qualche mistero di difficile soluzione, quando beninteso si abbia la fortuna di trovare una soluzione plausibile. Ancora più spesso capita infatti di dover accettare la realtà dei fatti e di accontentarsi di vaghe allusioni e di spiegazioni solo parziali, perché le fonti che si hanno a disposizione non permettono di ricostruire nulla di coerente. Le varie spiegazioni e le interpretazioni di studiosi e critici, poi, proprio in questi casi rischiano di fare ancora più confusione e di indurre a credere nei lettori che vi siano spiegazioni certe o ricostruzioni sempre plausibili, quando invece sarebbe ben più onesto ammettere la totale mancanza di elementi per poter procedere ad uno studio serio ed esaustivo.
Riferendoci alle recenti pubblicazioni su Bifröst, il Discorso di Svipdagr [Svipdagsmál] tradotto da Luca Taglianetti è un esempio di testo presentante più di un mistero, per la presenza di termini dall'etimologia poco chiara.
In particolare alla strofa 28 l'espressione eiri örglasis, che è evidentemente una pronominatio o una kenning per Sinmara (figura femminile di cui non si sa nulla, forse moglie di Surtr), è di difficile interpretazione e gli studiosi hanno cercato di penetrarla con lambiccate traduzioni, che riassumiamo di seguito:
- Viktor Rydberg traduce «dea dall'armilla splendente» [dis of the shining arm-ring] (Rydberg, Teutonic Mythology: Gods and Goddesses of the Northland 1886), emendando la prima parola eiri nel nome della dea Eir e quindi intendendo quest'ultimo come metafora per indicare una «dea» in generale, in base a un noto procedimento della poesia scaldica (esemplificato da Snorri nel Discorso sull'arte scaldica [7e-7f]). Tuttavia, non si capisce il motivo dell'armilla splendente, dato che nessun termine qui significa anello né armilla.
- Henry Bellows riprende la lettura di eiri come "dea" e traduce l'espressione eiri örglasis con "dea dell'oro splendente", che lo studioso considera una kenning "per donna" (Bellows, The Poetic Edda: Translated from the Icelandic with an Introduction and Notes, 1923).
- Eysteinn Björnsson, ultimo caso, è attualmente l'unico che intende il secondo termine come nome proprio e traduce il verso con "dea di Aurglasir" (Eysteinn, su Jörmungrund ).
Apparentemente tutto fila liscio, tuttavia c'è un problema relativo all'etimologia del nome Örglasir, che è chiaramente un composto fra i termini ör e glasir e per entrambi c'è una complicazione:
1 - La traduzione di ör con «oro» è certamente una grave forzatura, che presupporrebbe un prestito dal latino aurus o da una forma da esso derivata, mai attestata se non forse nella forma plurale aurar, «soldi, monete», che però al singolare è eyrir e nei composti assume la forma aura- (Cleasby-Vigfusson, An Icelandic-English dictionary). Difatti in antico nordico la parola per «oro» è piuttosto gull, radice che appartiene al più antico registro delle lingue germaniche (cfr. gotico gulþ, inglese gold, danese guld). In norreno ör significa innanzitutto "freccia" (da un ipotetico protogermanico *aurwō, cfr. anglosassone aruwe, inglese arrow), da cui una traduzione più attinente della kenning potrebbe essere "dea dalla freccia splendente". Un'altra possibilità è intendere il secondo termine come composto non di ör, ma di aurr, quindi *aurglasis.
2 - Glasir viene inteso come "splendente" o qualcosa di simile, il che può anche essere accettabile etimologicamente, tuttavia pare più pertinente ricordare che esiste un nome proprio Glasir, che appartiene al bosco dorato descritto nell'Edda di Snorri e che sta fuori delle porte di Valhöll. Letteralmente Glasir significherebbe qualcosa tipo "vetroso", quindi per estensione "splendente come il vetro". Una kenning per oro riportata dallo stesso Snorri è "foglie di Glasir" o "aghi di Glasir", in quanto gli alberi del boschetto hanno le foglie (o gli aghi, ne caso si tratti di conifere) d'oro.
Quindi nelle kenningar per "oro", si può effettivamente trovare il nome Glasir. Certo che questo non giustifica ancora la traduzione di eiri aurglasis come "dea dell'oro splendente".
A questo punto, cosa può significare aurglasir?
[caption id="attachment_233" align="alignleft" width="258" caption="Yggdrasill, da "An introduction to Old Norse" di E.V. Gordon"][/caption]
Credo che per risolvere questo tipo di indovinelli, possiamo seguire quello che ci insegna Snorri, dal momento che si tratta dell'unico manuale di poesia norrena a disposizione che abbiamo. Eysteinn Björnsson, fra i tre traduttori citati sopra, è probabilmente il più vicino di tutti alla soluzione dell'enigma. Il nome proprio Aurglasir può in effetti essere una sorta di nome alternativo dell'albero cosmico Yggdrasill o di un altro albero mitologico. Glasir in questo caso potrebbe in effetti essere inteso quale pronomen di "albero" (così come Eiri è pronomen di "dea") e l' albero asperso di argilla (aurr) sappiamo essere proprio Yggdrasill.
Sinmara, quindi, potrebbe essere la "dea (eiri) dell'albero asperso di argilla", ovvero la dea di Yggdrasill. E dea di Yggdrasill cosa può significare? Questo non lo sappiamo ancora, ma intendiamo scoprirlo presto.
Sempre nel Discorso di Svipdagr alla strofa 38 compare poi il nome Örboða, il quale viene interpretato da Bellows e da Gianna Chiesa Isnardi come "[colei che] offre l'oro".
Anche in questo caso sarebbe più opportuno tradurre seguendo l'etimo più probabile, quindi "[colei che] offre la freccia", benchè il senso dell'espressione resti ancora da chiarire.
Eysteinn lo emenda in Aurboða, che almeno è nome attestato, essendo quello della madre di Gerðr, e in effetti la normalizzazione lo renderebbe possibile, ma purtroppo anche a seguito di tale interpretazione non riusciamo a saperne più di prima.
Una tessera importante di questi misteri è dunque la parola ör / aurr, o meglio le parole che iniziano per aur- o per ör-, il cui significato non è facile da chiarire perché l'etimo è spesso oscuro. Caso per caso bisogna ricostruire tutte le possibili derivazioni e, ove possibile, cercare di ricostruire il possibile percorso filologico.
C'è un altro probabile ed illustre derivato da ör / aur-, ovvero Aurvandill, personaggio assai poco definito, probabilmente parte di un antico mito germanico perduto di cui non esistono più fonti certe, se non le vaghissime allusioni che Snorri fa nel Discorso sull'arte scaldica, capitolo 25.
Del nome Aurvandill, o meglio della sua ancestrale forma originaria, restano tracce riconoscibili nel danese antico Ǿrwændel, nell'antico inglese Éarendel e nel tedesco Orentil (o Erentil). Aurvandill compare anche col nome latinizzato di Horvandillus nelle Gesta dei re dei Danesi di Sassone Grammatico quale padre di Amlethus. Ci sono notizie anche di un longobardo Auriwandalo, quale nome proprio di re o principe, che tuttavia si ritrova solo in documenti e non in fonti letterarie.
Come già sottolineato in precedenti discussioni, sul significato del nome Aurvandill e sulle varie ipotesi mitologiche associate è stato detto e scritto anche troppo. L'approccio più serio, in questo caso, è forse limitarsi a ricercare le varianti del nome nelle diverse lingue che è possibile rintracciare. Dall'analisi delle fonti si può in effetti ipotizzare un composto protogermanico originario in cui il secondo elemento è certamente derivato da un *wandilaz «viaggiatore, viandante». Relativamente al primo elemento, ci sono due possibile interpretazioni di Aurvandill:
1. «Viandante luminoso» o «viandante dell'aurora», nell'ipotesi che il primo elemento provenga da un protogermanico *ausi «luce, aurora» (cfr. nordico austr, "est, oriente", sanscrito uṣas, greco hḗōs, latino aurora, da un indoeuropeo *H2AUS-).
2. «Viandante con la freccia», nel caso in cui il primo elemento sia da intendersi ör «freccia». In tal caso la normalizzazione ortografica del nome sarebbe più propriamente Örvandill.
La principale differenza fra le due interpretazioni è che la seconda potrebbe essere supportata dalla mitologia comparata. L'analisi di De Santillana e Von Dechend ne Il mulino di Amleto in effetti spiega che questo personaggio potrebbe essere stato in origine un arciere mitologico, forse associato alla stella Sirio e alla costellazione di Orione, ma anche questa non è che una semplice ipotesi.
Ricordiamo comunque che del perduto mito di Aurvandill le poche righe scritte da Snorri nel Discorso sull'arte scaldica sono tutto quello che rimane.
Per gli appassionati di Aurvandill e dei suoi possibili derivati nelle altre tradizioni nazionali rimandiamo volentieri alla scheda di approfondimento recentemente inserita nello Schedario di Bifröst: http://www.bifrost.it/GERMANI/Schedario/Aurvandill.html
[Bergelmir & Holger Danske]